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Guerra di Gaza, come affrontare il “dopo” in Medio Oriente: una proposta concreta

Pubblicato: 13/11/2023 20:00

Una forza di sicurezza affidata agli eserciti arabi per gestire Gaza dopo l’operazione militare di Israele in corso. Per poter poi assicurare una fase di transizione che porti all’effettiva creazione di una nazione palestinese. E’ anche – e necessariamente – il tempo delle proposte per una pace in Medio Oriente. Una l’ha messa sul piatto della discussione sul “dopoguerra” il professor Vittorio Emanuele Parsi, mentre continuano scontri a fuoco – dopo i colpi di artiglieria di Hezbollah dal Libano – e spunti di trattative per un rallentamento delle operazioni di Tel Aviv. Soprattutto intorno agli ospedali come quello di Al Shifa: i medici parlano di una «situazione catastrofica, disperata», mentre Israele ritiene che Hamas abbia lì un quartier generale.
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Le pause umanitarie e l’inganno della “guerra sospesa”

L’intervento di Parsi è pubblicato da Il Grand Continent, rivista del Gruppo di studi geopolitici con sede all’École normale supérieure di Parigi. Parsi, professore di relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano, è inoltre direttore dell’Alta scuola di economia e relazioni internazionali (Aseri). Proprio sulle pause umanitarie della guerra, che consentirebbero ai civili di spostarsi in sicurezza e agli ospedali di trasferire i malati più gravi, Parsi mostra scetticismo. “Non tragga in inganno la possibilità di qualche breve pausa umanitaria, determinata in realtà dalle soste tecniche tra le diverse fasi delle operazioni di terra. Se ciò che guida le azioni è la mera necessità militare, qualunque pausa che non derivi dai vincoli logistici, organizzativi e tattici diviene inconcepibile”, afferma. Anche da questa considerazione prende spunto la riflessione su cosa succederà dopo l’operazione israeliana a Gaza. Con una domanda inevitabile: come dovrà finire la guerra?

Gaza come punto di partenza per l’indipendenza della Palestina

Parsi elabora una proposta partendo dagli accordi di Abramo – intese bilaterali e relazione congiunta – firmati nel 2020 tra Israele, Emirati Arabi, Bahrain e Stati Uniti – che oltre a una nuova fase di geopolitica regionale, sostanziavano il riconoscimento della sovranità di Israele. Ebbene, per dare continuità a quegli accordi “una Forza di sicurezza araba a Gaza dovrebbe gestire la transizione verso l’indipendenza della Palestina. Ma ovviamente un impegno tale – dice Parsi – non sarebbe credibile se fosse assunto da Benjamin Netanyahu, che appare screditato sul piano interno e su quello regionale e internazionale. Occorre quindi che qualcun altro ne sia il garante da parte israeliana (forse Ganz, forse altri). Ma anche questo rappresenterebbe un passaggio importante per il recupero della democrazia israeliana”.

Di fronte alle enormi contraddizioni del premier istraeliano (prima ha ipotizzato di rioccupare la Striscia «a tempo indeterminato»; poi l’esatto contrario, parlando di una forza di sicurezza per impedire che da Gaza partissero nuove azioni ostili), Parsi rileva che “il governo di Tel Aviv non ha una posizione definita su come gestire il dopo operazioni militari nella Striscia, e che le pressioni internazionali per un cessate il fuoco e la ricerca di una soluzione politica della crisi (da quelle americane e occidentali a quelle dei Paesi arabi conservatori) pesano sulle sue decisioni. Per cui è fondamentale avanzare oggi una proposta concreta sul passaggio dalla fase militare a quella politica, quando il Gabinetto di guerra israeliano non ha la più pallida idea della fase successiva all’auspicabile eradicazione militare di Hamas da Gaza”.

Il destino della Cisgiordania come obbiettivo di controllo di Hamas

Da qui l’analisi di una proposta sul futuro, perché “prima o poi le Idf (Israel Defense Forces) dovranno ritirarsi da lì e passare la mano a qualcun altro. “Se Abu Mazen (leader dell’Anp, ndr) accettasse di prestarsi a una simile iniziativa – è il pensiero di Parsi – perderebbe qualunque residua credibilità agli occhi del suo popolo, mentre un’amministrazione imposta dalle baionette israeliane sarebbe bersaglio dell’ira dei gazawi. Sarebbe il più grande regalo ad Hamas che si potrebbe immaginare e rovescerebbe sull’intera Cisgiordania occupata le conseguenze dell’autolesionista comportamento dei governi israeliani di questi anni: aver lasciato che Hamas governasse la Striscia (sia pur sotto a un duro assedio economico) mentre si moltiplicavano gli insediamenti illegali israeliani nei territori destinati a finire sotto la futura sovranità palestinese: 500.000 in West Bank e 250.000 a Gerusalemme est. Oggi saldare il destino della Cisgiordania a Gaza è anche nella strategia di Hamas”.

Per Parsi l’occupazione militare di Gaza da parte israeliana e/o il passaggio dell’amministrazione civile agli uomini di Abu Mazen “sarebbe una criminale follia politica da parte israeliana. Dimostrerebbe che, a oltre un mese dalla terribile strage del 7 ottobre e dopo inaccettabili lutti e distruzioni nella Striscia, Israele è incapace di uscire dalla strategia imposta da Hamas: non è in grado di assumere l’iniziativa strategica”. Anche gli Stati Uniti con Anthony Blinken (il segretario di Stato) hanno parlato della possibilità di un’amministrazione fiduciaria ad interim che si occupi di gestire la transizione tra l’occupazione israeliana e l’assunzione di una responsabilità dell’Anp. “Ma – è l’obiezione di Parsi – occorrerebbe il disco verde dell’Onu (tutt’altro che scontato, visto l’interesse russo a tenere il Medio Oriente in stato di ebollizione, gli Usa sotto pressione e le capitali occidentali distratte, per continuare la sua guerra di aggressione in Ucraina). Servirebbe poi un contingente militare cospicuo per sorvegliare i confini e mantenere l’ordine pubblico a Gaza: un’impresa al di là della portata di qualunque contingente di Caschi blu”.

Una forza di sicurezza araba per dare un ruolo di primo piano alla regione

Di fronte alla facile previsione che “le forze dell’Onu diventerebbero il bersaglio di Hamas, della Jihad e di qualunque movimento di resistenza all’occupazione”, chi sarebbe disposto a metterci i suoi soldati? Per il professor Parsi “non resta che un’ipotesi: una forza di sicurezza araba, fornita dai paesi firmatari degli accordi di Abramo integrati dall’Arabia Saudita, offrendo loro l’opportunità di diventare protagonisti di una politica di sicurezza di ampio respiro nell’intero Medio Oriente, in modo di far uscire la regione dal lungo cono d’ombra di un processo di decolonizzazione mal riuscito”.

A chi il compito di avanzare questa proposta sui tavoli competenti? Agli Stati Uniti, alla Ue e ai principali Paesi europei (Francia, Germania, Italia, Spagna) oltre al Regno Unito, secondo l’analisi di Parsi. Che indica come “principale destinatario, e leader della coalizione, Mohamed bin Salman e l’Arabia Saudita. Il principe è sufficientemente ambizioso, intelligente e spregiudicato per capire che cosa verrebbe offerto al suo Paese e alle altre monarchie del Golfo: giocare un ruolo da protagonisti nella politica regionale e mondiale che nessuna «visione 2030», campionato mondiale di calcio, acquisizione di musei od operazione finanziaria potrebbe mai conseguire”. Operativamente, secondo l’analisi di Parsi, l’esercito saudita “rinforzato da contingenti dei Paesi firmatari degli accordi di Abramo ed eventualmente da Giordania ed Egitto, è sufficientemente equipaggiato, numeroso e addestrato per mantenere la sicurezza tra Gaza ed Israele”.

La forza di sicurezza dovrebbe avere “l’esplicito mandato politico di eliminare qualunque fazione armata che si opponesse alla pace nella Striscia. Sarebbe il perfezionamento necessario degli Accordi di Abramo, trasformati così in veri accordi di pace regionali, in grado di garantire arabi, israeliani e palestinesi”, prevede il professore. Ma soprattutto “la mossa significherebbe uscire dalla logica e dalla strategia imposte da Hamas a tutti i giocatori, separandola dal popolo palestinese e dando loro ciò cui hanno diritto: la sovranità, l’autodeterminazione e l’indipendenza”.

Il ruolo di Mosca: “Non possiamo contare su appoggi da parte russa”

Non mancano, naturalmente, i punti critici: “Dobbiamo toglierci dalla testa la possibilità di poter contare su collaborazioni o appoggi da parte russa, considerando il vantaggio che Mosca ricava dal perdurare della crisi a Gaza per la sua guerra di aggressione in Ucraina. Ma la prospettiva di una Forza di sicurezza Gaza starebbe in piedi di fronte a un obiettivo ambizioso come quello della nascita, in tempi brevi e certi, di uno Stato palestinese. Per il quale occorre un impegno serio da parte di Tel Aviv per il progressivo smantellamento degli insediamenti illegali ebraici in Cisgiordania. È il passaggio più critico, ma è necessario per la sopravvivenza della stessa democrazia israeliana”.

Ultimo Aggiornamento: 14/11/2023 07:49