
In un mondo parallelo, forse, l’aula del Senato sarebbe stata gremita di legislatori impegnati in un dibattito acceso e passionale sulla legge per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica. Ma nella cruda realtà che ci troviamo ad osservare, la scena è un insulto visivo, uno sfregio indelebile all’aspetto più nobile della politica: il servizio verso il cittadino, e in questo caso, verso le innumerevoli donne che portano le cicatrici della violenza sul loro corpo e nella loro anima.
L’ironia della sedia vuota: un aula muta per 105 donne che urlano
L’aula vuota risuona del silenzio assordante di un’indifferenza che stride con il dolore e la lotta quotidiana di migliaia di donne. Un coro immaginario di voci soffocate dalla violenza avrebbe dovuto riempire quei banchi, avrebbe dovuto essere lì a ricordare agli assenti il peso delle loro responsabilità. Eppure, l’ironia della sedia vuota è un simbolo potente: parla di priorità distorte, di una distanza abissale tra chi decide e chi vive la realtà delle strade, delle case, delle relazioni infrante dalla violenza.

È un teatro dell’assurdo, un’opera buia dove il sarcasmo si mescola alla rabbia: i senatori assenti diventano attori mancati di un dramma che non hanno voluto recitare. In questo spettacolo macabro, il palcoscenico vuoto è un monito, una macchia che il tempo non potrà cancellare facilmente, perché ogni sedia vuota è un’accusa silenziosa, un rimprovero che le vittime di violenza non meritano e non dovrebbero mai ricevere.