
Dopo una settimana di fuga e un’altra trascorsa dietro le sbarre del carcere di Halle, Filippo Turetta torna in Italia, affrontando per la prima volta gli sguardi di investigatori e magistrati che lo accusano di sequestro e omicidio di Giulia Cecchettin. Il suo rientro avverrà a bordo di un volo militare del Servizio per la cooperazione internazionale della polizia (Scip), una misura presa anche per garantirne la sicurezza, vista l’attenzione mediatica e il clamore suscitato dal delitto di Vigonovo.
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La decisione di collocarlo non nel carcere di Venezia, ma in quello di Verona, è stata presa dal ministero della Giustizia per motivi di sicurezza, data la distanza di oltre cento chilometri. Mentre attende l’interrogatorio, che non avverrà prima di dopodomani, le indagini dei carabinieri di Venezia proseguono intensamente. In ballo c’è la possibile richiesta di una consulenza psichiatrica da parte della difesa e l’esame delle aggravanti che potrebbero portare Turetta a una condanna all’ergastolo.
Ha infierito sul suo corpo
L’elemento di premeditazione sembra rafforzarsi con la scoperta dell’acquisto di nastro adesivo argentato online, utilizzato la notte dell’omicidio, insieme ai sacchi neri, guanti e coltelli trovati. Per decidere se contestargli l’aggravante della crudeltà sarà, invece, fondamentale capire la sequenza delle ferite: dove e quante sono state inferte quando Giulia era ancora viva, quali e quante sono state inferte quando il cuore di Giulia non batteva più.
Gli investigatori stanno cercando di ricostruire i movimenti di Turetta attraverso le riprese delle telecamere della zona industriale di Fossò la notte del delitto, interrogandosi sui 17 minuti trascorsi in un’area ristretta, e se in quel lasso di tempo avesse immobilizzato Giulia. La scoperta di un pezzo di nastro adesivo argentato con tracce di sangue e capelli di Giulia accresce il mistero, suggerendo che fosse stato utilizzato per impedirle di urlare.
Un altro aspetto inquietante riguarda le lesioni al naso di Giulia rilevate dall’esame medico legale, che potrebbero indicare che non era in grado di difendersi durante la caduta, sollevando l’ipotesi che fosse legata. Questo dettaglio sarà probabilmente chiarito dall’autopsia prevista per il primo dicembre.
L’inchiesta si allarga con l’acquisizione dei filmati delle telecamere lungo il percorso presunto dell’inseguimento e della fuga, alla ricerca di prove che Giulia fosse stata legata prima della seconda aggressione. Ogni minuto di quel tragitto potrebbe nascondere indizi vitali su ciò che è realmente accaduto e se vi fossero state possibilità di salvare Giulia.
Poteva essere salvata?
Un punto focale delle indagini è il mancato intervento immediato delle forze dell’ordine dopo l’allarme lanciato da un vicino di casa, che aveva segnalato una coppia che litigava in strada. Le pattuglie erano impegnate in altri interventi e la mancanza di un numero di targa ha complicato la situazione. Tuttavia, la precisione con cui il vicino ha descritto il modello dell’auto solleva domande sull’efficacia della comunicazione di tali dettagli alle unità sul campo.
Ogni ora che passa aggiunge peso al caso, mentre la comunità e la giustizia cercano di fare luce sui momenti finali di Giulia e sulle responsabilità di Filippo Turetta in una vicenda che continua a tenere l’Italia con il fiato sospeso.