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Meloni che record, mai così tanti voti di fiducia

Pubblicato: 10/12/2023 11:42

Per valutare gli effetti dell’annunciata riforma sul processo istituzionale, quella che punta a introdurre il premierato, non è necessario attendere l’ipotizzato esito del relativo referendum. E’ più che sufficiente constatare il peso del voto di fiducia imposto dal governo Meloni al Parlamento nel primo anno di legislatura: un dato che ha visto, nel mese scorso, toccare un record mai raggiunto prima da altri esecutivi. Che pure vi avevano fatto ricorso senza risparmio.

Contro quella che è ormai prassi degli ultimi governi in carica, che ricorrendo alla fiducia cristallizzano i propri disegni di legge e impediscono di fatto di modificarne i testi, nel 2021 si scagliò la stessa leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, dai banchi dell’opposizione: “È una mortificazione del Parlamento, una deriva democratica“, disse allora. Dopo l’ingresso a Palazzo Chigi deve aver cambiato radicalmente idea, considerato che dal suo insediamento l’esecutivo da lei guidato l’ha posta ben 39 volte.

Il governo e la fiducia, un rapporto fin troppo…stretto

A evidenziare il fenomeno è stata una delle ultime ricerche sull’elaborazione dei dati prodotte da Fondazione Openpolis. Sottolineando come lo scorso novembre abbia visto tornare “prepotentemente d’attualità il massiccio ricorso fatto dal governo allo strumento della questione di fiducia. I voti di questo tipo che si sono tenuti in parlamento infatti sono stati ben 8, un nuovo record”. Secondo il report la procedura “di sicurezza” è stata adottata con un costante aumento “tanto che il governo Meloni ha raggiunto il primo posto (a pari merito con il governo guidato da Mario Monti) considerando la media dei voti di fiducia per mese”.

Ma perché i governi non limitano a pochi, essenziali, casi il ricorso alla fiducia? Prima di tutto per l’ormai esagerato impiego dei decreti legge per veicolare le proprie proposte e provvedimenti. I decreti devono infatti essere convertiti in legge dalle due Camere entro 60 giorni, ma come avviene in queste settimane se il Parlamento è chiamato ad affrontarne tanti contemporaneamente, si rischia un flop. Meglio, quasi necessario, porre quindi la fiducia sul decreto legge per fare presto. Il governo così porta a casa il risultato – con il conseguente strombazzamento mediatico propagandistico – ma la funzione del Parlamento si traduce in quella di un passacarte. Perché quella che è la sua funzione primaria di motore del potere legislativo viene mortificata.

Se servisse una fotografia della proposta di modifica costituzionale sul premierato, fortemente sostenuta dalla stessa premier, ne avremmo una nitida e perfettamente a fuoco. Come la stessa Meloni, sì sempre lei, nel dicembre 2019 diceva alla Camera: “Se togliete al Parlamento la legge di bilancio, la democrazia parlamentare non esiste più, la questione di fiducia è una vergogna”. La critica accompagnò le dichiarazioni di voto sulla fiducia posta allora dal governo Draghi sulla legge di bilancio. Come rileva il report di Openpolis, questa situazione di scavalcamento delle Camere “peraltro è destinata a ripresentarsi. Il parlamento infatti attualmente deve convertire 5 decreti legge e approvare le legge di bilancio entro il 31 dicembre prossimo”.

L’analisi stessa evidenzia come il mese di novembre 2023 sia stato “particolarmente intenso per quanto riguarda i voti di fiducia. Considerando i dati disponibili, dal 2018 a oggi, non era mai successo che ci fossero ben 8 voti di questo tipo in 30 giorni”. Anche se i governi hanno durate diverse, il numero di voti di fiducia varia anche in base al tempo trascorso a Palazzo Chigi, da Openpolis hanno consideto il numero medio di fiducie poste per ogni mese di governo per un confronto omogeneo. “Da questo dato, possiamo osservare che l’attuale esecutivo è primo con 3 questioni di fiducia di media al mese, a pari merito con il governo Monti”. Molti analisti inoltre rilevano che nemmeno durante la pandemia da Covid erano stati toccati questi picchi (secondo esecutivo Conte nel dicembre 2020).

Camera e Senato sono due realtà distinte nel governo Meloni

Altra caratteristica di questo governo è la marcata disparità che emerge tra i voti di fiducia tenuti alla Camera (13) e quelli al Senato (3). Secondo la ricerca questo si spiega con l’evidenza “del margine di vantaggio della maggioranza a palazzo Madama più ridotto rispetto a Montecitorio. Quindi porre la fiducia al Senato è più rischioso per il governo. In caso di incidente di percorso, qualora venisse battuto, sarebbe costretto a rassegnare le proprie dimissioni”. Non solo: anche escludendo i decreti legge in cui è stata posta la fiducia “in entrambe le camere, negli altri casi è stato fatto ricorso allo strumento più nell’aula che ha esaminato la proposta di legge per seconda (7 casi su 12). Questo è legato al fatto che molti dei ddl discussi dalle Camere sono stati conversioni di decreti che – ricordiamolo, devono essere approvati entri 60 giorni – e “così si riducono drasticamente i tempi per la discussione in Parlamento”.

Sono in molti a rilevare che, con le alte frequenze di ricorso a questa pratica, “si stia andando sempre di più nella direzione del monocameralismo di fatto. Ovvero la prassi di discutere le proposte di legge in una sola camera, con l’altra che si limita a ratificare quanto già deciso. Una pratica che seppur ampiamente tollerata, sarebbe in contrasto con il dettato costituzionale”. Altro che riforma, allora: con la certificazione dell’abuso dei decreti e della questione di fiducia una donna sola al comando è di fatto una realtà.

La Presidente del Consiglio, prima di arrivare a Palazzo Chigi, denunciava l’abuso di questo strumento da parte dell’esecutivo attraverso interventi incendiari in Parlamento ma anche sui social. Nel 2006 sentenziò che porre la fiducia era una «scelta oligarchica», trasformato in un «errore drammatico» nel 2015. E ancora: «La democrazia è un’altra cosa», si sfogava su Twitter. Un’altra era rispetto a oggi, di fronte al record conquistato in 12 mesi di ben 47 provvedimenti urgenti (media di 3,83 al mese, pure più di Draghi che era a 3,20), In sostanza, se oggi appare lontanissimo il tempo in cui Meloni urlava “Il ricorso alla fiducia è un esproprio delle Camere“, emerge che la tanto decantata rottura-differenza-novità rispetto ai vituperati governi che hanno preceduto quello attualmente in carica, non si manifesta. E che quando la stessa premier dall’opposizione attaccava la maggioranza allora in carica, legittimata dal voto in Parlamento come da Costituzione, ora che è passata dall’altro lato si trova a ripercorrere, anzi a utilizzare a piene mani, le pratiche tanto deprecate.

Per la cronaca il 25 ottobre 2022, dopo la formazione del Governo e a conclusione del dibattito alla Camera sul programma, venne presentata la mozione di fiducia all’esecutivo Meloni (sottoscritta dai deputati Foti, Molinari, Cattaneo e Lupi). La mozione fu approvata con 235 voti favorevoli, 154 contrari e 5 astenuti. Il giorno successivo il Governo ottenne la fiducia al Senato con l’approvazione, al termine del dibattito sulle comunicazioni rese dal Presidente del Consiglio, della mozione Rauti, Romeo, Ronzulli, De Poli. Con il seguente risultato: favorevoli 115; contrari 79; astenuti 5.