
Una cassiera rifiuta di usare la mascherina, così come prevede il protocollo aziendale, e viene licenziata. Così fa ricorso al giudice del lavoro di Venezia, impugnando il licenziamento per illegittimità e chiedendo danni e arretrati. Il tribunale veneto rigetta l’impugnazione dando ragione ai supermercati Pam Spa: il provvedimento dell’azienda è, secondo il magistrato, corretto. La novità sta nel fatto che oggetto della contestazione non erano tanto i Dpcm, quanto il protocollo aziendale applicato anche dopo la fine dell’obbligo di legge sull’utilizzo delle mascherine. Protagonista una dipendente del gruppo veneziano della grande distribuzione che lavorava a Villorba, in provincia di Treviso.
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Il protocollo della discordia
La vicenda risale al periodo successivo allo stato di emergenza, quando l’obbligo di indossare le mascherine era cessato. Restava in vigore, tuttavia, il protocollo sulle misure di contrasto e contenimento del Covid negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra Governo e parti sociali e più volte rinnovato, tra cui il 30 giugno 2022. Il datore di lavoro poteva prevedere l’obbligo di mascherina in certi contesti lavorativi. E infatti, il 17 agosto 2022 il gruppo Pam aggiornò il suo protocollo prevedendo l’obbligo di indossare almeno le mascherine chirurgiche e prevedendo tutta una serie di sanzioni in caso di inosservanza.
Tre mesi di avvisi e sanzioni prima del licenziamento
La donna, che lavorava in azienda da quasi un venti anni, si sarebbe sempre rifiutata di indossare la mascherina, nonostante i ripetuti inviti della direzione. Non solo. Posta di fronte alla scelta di abbandonare il servizio se fosse rimasta senza dispositivi di protezione, lei si sarebbe sempre rifiutata di uscire. In un caso avrebbe addirittura fatto arrivare un gruppo di persone, evidentemente conoscenti, che avevano filmato dipendenti e clienti del supermercato e lei stessa aveva registrato conversazioni e filmato colleghi. Dopo tre mesi di insubordinazione e avvisi, una lunga serie di sanzioni, e una sospensione di dieci giorni, il licenziamento.
La decisione del giudice del lavoro
Il giudice del lavoro ha stabilito, che mentre «la scelta del datore di lavoro è proporzionata e risponde al criterio di precauzione», il rifiuto della ex dipendente «è caratterizzato per una provocatoria pervicacia che si è manifestata nel volere rimanere presente senza mascherina pur sapendo di non poter lavorare, nel riprendere gli altri colleghi e nell’aver convocato un gruppo di conoscenti che hanno creato scompiglio riprendendo lavoratori e clienti». Insomma, il giudice non ha ritenuto che l’azienda «abbia adottato un atteggiamento persecutorio o discriminatorio» nei confronti della donna e pertanto «la massima sanzione espulsiva appare proporzionata alla reiterazione dell’inadempimento».