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Emergenza disturbi alimentari, il Governo chiude centinaia di centri. Le associazioni: “Errore madornale”

Pubblicato: 10/01/2024 13:54

Il governo Meloni si prepara a chiudere centinaia di centri per i disturbi alimentari in tutta Italia. Questo, nonostante le malattie del comportamento alimentare siano in vertiginoso aumentano. Con la decisione del governo, dunque, si spunterà un’arma fondamentale per la cura di questo genere di disturbi: l’assistenza garantita dai centri.
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Il Governo non rinnova il Fondo per il contrasto dei disturbi alimentari

Il Fondo per il contrasto dei disturbi alimentari è stato creato nel 2021. La dotazione che si pensava iniziale era di 25 milioni di euro per il biennio 2022-2023, da spendere entro il 31 ottobre del 2024. Con quel contributo erano state assunte 780 professionisti del settore, e di ricostruire il livello base dell’assistenza in tutta Italia, avviando programmi di prevenzione e di cura. Questi interventi rischiano ora di ridursi o fermarsi per sempre. Soprattutto nei luoghi dove erano state appena istituite e necessitavano dell’intervento.

Nel settembre 2023, alcuni parlamentari hanno depositato alla Camera un disegno di legge a prima firma Martina Semenzato (gruppo Noi democratici) che propone un fondo annuale di 20 milioni di euro da investire in attività simili. Ma esperti e associazioni temono che, nella migliore delle ipotesi, ci sarà una finestra temporale in cui i servizi finanziati fino al 31 ottobre conosceranno uno stop.

Giuseppe Rauso, presidente di Consult@noi, associazione coinvolta nel tavolo promosso da Noi democratici, critica le decisioni politiche. “Dopo l’approvazione della mozione chiediamo si corregga la legge di bilancio per ripristinare i fondi per l’anno in corso, al fine di evitare finestre di scopertura dei servizi per i pazienti affetti da disturbi del comportamento alimentare, e l’istituzione di un fondo strutturale”.

Per gli addetti ai lavori, come la dottoressa Laura Dalla Ragione dell’asl Umbria 1, tra gli esperti scelti dal Ministero per gestire il fondo attuale, queste misure sono necessarie, ma rimangono un tampone: “Servono risorse vincolanti per dare continuità al trattamento di queste patologie”. Lo ribadiscono a gran voce anche le associazioni, come spiega Aurora Caporossi fondatrice della onlus Animenta, parte del Movimento Lilla, per il contrasto e prevenzione delle malattie alimentari: “Perché per mancanza di trattamenti si muore”.

Un problema che riguarda almeno 3 milioni di persone in Italia

I Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione (Dna) sono quei fenomeni che rendono disfunzionale il comportamento alimentare, portano il paziente a preoccuparsi eccessivamente del proprio peso e ad avere una percezione deviata della propria immagine. Le patologie più diffuse sono anoressia nervosa e bulimia nervosa. Se non trattate, causano un crollo delle capacità di alcuni organi e possono compromettere gli apparati vitali. Si stima che in Italia siano almeno tre milioni le persone che convivono con una malattia di questo tipo.

Solo nel 2023 si sono registrati 1.680.456 nuovi casi. Il numero è cresciuto del 30% dopo la pandemia, quando in tutto il mondo c’è stato un incremento dei ricoveri pari al 48%. Il 2020 è stato decisivo per mettere a fuoco l’emergenza, anche perché ha visto un abbassamento dell’età di chi si ammala, che oggi inizia intorno agli 8-9 anni. Le donne sono nove volte più esposte degli uomini a queste patologie che, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), sono la seconda causa di morte per le giovani tra i 12 e i 15 anni. A parità di sesso ed età, chi soffre di anoressia ha un rischio di mortalità fino a dieci volte più alto di una persona sana. In Italia, stando ai dati del Registro nominativo delle cause di morte (Rencam), nel 2023 circa 4mila persone sono decedute per problemi correlati a un disturbo alimentare.

Oggi ci sono 126 strutture per il trattamento dei disturbi alimentari. Di queste, 112 rientrano nel Servizio sanitario nazionale e 14 sono gestite dalla Sanità privata accreditata. Il divario territoriale nei livelli di assistenza però resta grande. Il Sud è il più penalizzato, con 40 strutture contro le 63 del Nord Italia e le 23 del Centro.

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