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Intelligenza Artificiale: anche i manager potranno diventare sostituibili?

Pubblicato: 09/02/2024 15:16
intelligenza artificiale manager

Più che legittimo è porsi la domanda su quante e quali professionalità contemporanee sono messe a rischio dall’avanzare dell‘Intelligenza artificiale, nell’ampio panorama del mondo del lavoro. Ma l’implementazione degli algoritmi, che dell’IA sono diretta conseguenza, contrariamente agli scenari prospettati dai più non andrà a incidere soltanto – o maggiormente – sulle professioni e sulle occupazioni a medio-basso reddito.

In discussione, per le nuove frontiere della tecnologia, ci sono soprattutto i processi decisionali (cognitivi) delle attività economiche e produttive – tralasciando per ora governi e politica, ma chissà – , e cioè quelli che solitamente rientrano tra i compiti specifici dei manager d’azienda; ovvero di chi pianifica, progetta e, soprattutto, prende decisioni che hanno un ampio impatto sull’economia e sull’occupazione. Per non parlare delle conseguenze sull’ambiente. L’intelligenza artificiale metterà a rischio anche i compiti dei gestori delle multinazionali e delle imprese, piccole e grandi? E se sarà un freddo computer a decidere al posto di un illuminato essere umano, quali saranno le conseguenze?

Ciampi: “Le macchine stanno superando l’uomo”

Se lo chiede il quotidiano economico Il Sole 24 Ore, che ha pubblicato un intervento analitico di Francesco Ciampi, professore di Economia e gestione delle imprese all’Università di Firenze. Sgomberiamo subito il campo da scenari distopici: “Le macchine stanno superando l’uomo nella soluzione di diverse categorie di problemi, anche complesse”, spiega Ciampi, e questo ci porta “a ipotizzare che l’Intelligenza artificiale finirà per sostituire i manager. La risposta, fortunatamente, è negativa”. Ed è l’analisi dei fattori che conducono a questa (salvifica?) conclusione, illustrata dal docente, a contenere spunti e ragionamenti di sicuro interesse. A iniziare da un’asserzione niente affatto scontata: alle macchine manca la visionarietà propria dell’essere umano.

Necessaria è la premessa. Ciampi ricorda che secondo Daniel Kahneman (psicologo israeliano, Premio Nobel per l’economia nel 2002 insieme a Vernon Smith) la mente umana “impiega due modalità di pensiero: quella razionale e cosciente, che funziona in maniera lenta, sequenziale, controllata. E quella intuitiva, che è veloce, associativa e difficile da controllare”. Di fronte a situazioni con regole e variabili del contesto note, “le macchine hanno superato da tempo l’uomo in diverse attività di «ragionamento». Tanto che i manager oggi impiegano abitualmente gli algoritmi di ottimizzazione matematica per simulare e gestire i processi produttivi e logistici, valutare i rischi, formulare budget, ottimizzare le decisioni di marketing”.

L’intelligenza artificiale ha un buon intuito?

Fin qui siamo nei limiti dello scibile. Ma c’è una novità: con l’impiego dell’Ia e, in particolare, “delle tecnologie di machine learning che analizzano grandi quantità di dati, i computer – sostiene il docente di Unifi – oggi sono più veloci ed efficaci dell’uomo anche in attività cognitive di natura intuitiva”. Lo studioso ne elenca alcune, quali la previsione delle tendenze future e il riconoscimento di pattern e modelli”. Ma non solo: in base a recenti studi è dimostrato “che i computer sono più efficaci delle persone in attività cognitive quali la previsione dell’andamento dei mercati finanziari, la pianificazione degli investimenti e alcune diagnosi mediche”.

Dunque, sì: “le macchine stanno superando l’uomo nella soluzione di diverse categorie di problemi, ma l’Intelligenza artificiale non sostituirà i manager”. Ciampi spiega poi perché. “Perché esiste un’abilità cognitiva in relazione alla quale le persone avranno, ancora per molto, un vantaggio sui computer: la capacità di mettere in discussione e modificare le visioni del mondo, ridefinire i problemi esistenti, individuare problemi nuovi e diversi da risolvere”. Si tratta di una abilità basata sull’attivazione di processi intuitivi profondi, che consentono di “ristrutturare e riformulare assunzioni, obiettivi e variabili rilevanti, attribuire nuovi e diversi significati, superare le visioni consolidate nei settori, aziende ed esperienze passate, immaginare nuove chiavi di lettura della concorrenza, dei mercati, dei modelli di business”.

Tutte abilità, queste appena elencate, per cui il professore fiorentino ritiene che la “ristrutturazione creativa delle modalità di creazione del valore” fornirà quelle innovazioni che rivoluzioneranno “le regole del gioco consolidate, consentendo ai first mover di acquisire vantaggi competitivi sostenibili”. Gli esempi fanno comprendere meglio il ragionamento: Ciampi ne utilizza due noti a tutti o quasi. “Netflix e Spotify rappresentano casi emblematici di imprese che hanno rivoluzionato il funzionamento di un mercato, innovando radicalmente il modo di guardare film e di ascoltare musica, grazie allo sviluppo di soluzioni disruptive, in grado di slatentizzare (rendere palese ciò che è latente, nascosto, ndr), far emergere e soddisfare bisogni completamente nuovi”.

In buona sostanza, la domanda iniziale sul futuro (a rischio) dei manager di fronte all’IA – che “aiuta e sempre più spesso supera le capacità umane di pensare razionalmente e implementare processi intuitivi semplici per risolvere problemi definiti” – per il professor Ciampi troverà una risposta nella sostanziale differenza “delle capacità dei manager di ristrutturare problemi e intuirne di nuovi. Capacità che diverranno sempre più preziose se adeguatamente coltivate e sviluppate”. Come? Utilizzando periodi di “sospensione del giudizio e di distacco dalle attività di problem solving: allontanarsi temporaneamente dal contesto aiuta a “uscire” dalle visioni consolidate; facilita l’esplicitazione delle assunzioni in base alle quali siamo abituati ad affrontare i problemi”. Ma non solo.

Sarà utile e necessario stimolare “la ricerca e la scoperta di nuove connessioni, interdipendenze e possibili convergenze tra contesti e settori tra loro lontani e diversi. Infine sviluppando culture organizzative e climi aziendali – ipotizza Ciampi – che favoriscano la messa in discussione delle pratiche esistenti e l’emersione delle idee visionarie”. Di solito sono pratiche che “non apportano benefici nel breve termine, ma che presto saranno sempre più decisive per la sopravvivenza e lo sviluppo delle imprese nel lungo periodo”.