
A sinistra si batte il cinque. E non solo per la (inaspettata?) vittoria di Alessandra Todde alla guida della Regione Sardegna. Con quella timonata della nuova presidente, sostenuta da Pd e M5S, salgono infatti a 5 le regioni italiane amministrate dal centro sinistra. La Sardegna si aggiunge infatti a Campania, Emilia Romagna, Puglia e Toscana. Cinque regioni: un’arma in più per il centrosinistra (che prima di domenica scorsa non aveva) per contrastare la politica del governo diretto da Giorgia Meloni.
A far rilevare uno degli aspetti che sembrerebbero marginali – ma non per questo da scomparire dal dibattito politico – nel confronto elettorale di queste settimane è stato il sito 9colonne.it. L’agenzia giornalistica diretta da Paolo Pagliaro, con un’analisi dello stesso direttore, riporta l’attenzione su un “risultato politicamente rilevante per diverse ragioni”. Una e non l’ultima è la materia che viene regolata dall’articolo 75 della Costituzione, quello in cui viene stabilito “che cinque consigli regionali possono proporre all’intero corpo elettorale l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge”.
5 regioni e il potere del referendum
Cosa significa questo dopo la vittoria della Todde alle elezioni regionali in Sardegna? Come fa rilevare Pagliaro, quelle 5 regioni politicamente vicine da ora in poi potranno “indire un referendum senza che sia necessario raccogliere le 500 mila firme che sono previste quando i promotori sono i partiti o gruppi di cittadini”. Non è un aspetto meramente tecnico, soprattutto se il governo in carica risulti particolarmente “freddo” a proposte di legge o iniziative che sono nell’agenda della minoranza parlamentare.
“Oggi l’Italia sembra avviata verso una stagione di riforme importanti, dal premierato all’autonomia differenziata. E di leggi che rispecchiano le ragioni identitarie della destra”, fa notare Pagliaro. Appunto, quell’autonomia differenziata che ha già scatenato la mezza rivolta di alcune regioni del Sud, con il presidente della Campania Vincenzo De Luca pronto a fare le barricate e a scontrarsi frontalmente con la premier Meloni. Va sottolineato che se da lunedì scorso il centrosinistra ha quest’arma in più, non significa poi molto se non si arriverà a imparare come usarla. Un’istruzione per tutte: andrebbe maneggiata e utilizzata da tutti e cinque gli attori in campo, quale che sia il partito di riferimento o di elezione.
Ma intanto la storia politica nazionale insegna. “Più di una volta negli anni scorsi le Regioni hanno esercitato questa prerogativa”, avverte Pagliaro anche nella scheda trasmessa in Otto e mezzo su La78. Molti ricorderanno l’ultima, quella di due anni fa quando nove consigli regionali (questi a maggioranza di centro-destra) proposero su iniziativa della Lega di Salvini i quesiti in tema di giustizia. Chiedevano l’abrogazione delle legge Severino sull’incandidabilità dopo una condanna; la separazione delle carriere dei magistrati; la limitazione delle misure cautelari; la possibilità per gli avvocati di valutare l’operato dei giudici; nuove procedure per le candidature dei giudici al Consiglio superiore della magistratura.
Si votò il 12 giugno 2022 ma quei referendum fallirono perché gli italiani disertarono in massa le urne. Infatti l’affluenza si fermò poco sopra al 20% con tante schede bianche (tra le 600mila e le 800mila per ogni quesito); tra chi si espresse sulla scheda vinse (ovviamente) il sì. Sempre l’analisi di 9colonne.it ci rammenta che un referendum abrogazionista proposto da alcune Regioni (Umbria, Marche, Piemonte, Trentino-Alto Adige, Lombardia, Basilicata, Toscana ed Emilia Romagna) nel 1993 portò alla abolizione del ministero del Turismo e dello Spettacolo, poi reintrodotto dal governo Draghi nel 2021.