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Notturno Libico: Giulio, Jasmine e la memoria di un’epoca mai finita di caccia all’ebreo

Pubblicato: 02/03/2024 19:49

Non so se a Zanzùr (Ğanzũr) siano rimaste tracce del «camposanto ebreo-cristiano biancheggiante di lapidi sul colle solatio che domina il mare». Dubito. Ma non posso esserne certo. Ci sono passato, ma non ci ho fatto caso. Si andava a Sabrata e non ho proprio pensato che il quel paesino, che ora non è che un sobborgo di Tripoli, erano state combattute, tra l’8 giugno e il 20 settembre del 1912, due battaglie tra l’esercito italiano e quello ottomano. Eppure furono grandi battaglie che costarono, pur vittoriose, più di mille morti tra i dodicimila fanti, cavalleggeri, artiglieri e áscari impegnati al comando del generale Vittorio Camerana.

Forse il settore cristiano di quel cimitero è stato risparmiato, quello ebraico no. Certo esisteva nell’ottobre del 1913, quando a mio nonno Filippo, ufficiale medico aggregato al battaglione alpino “Vestone”, fu concesso qualche giorno di licenza e raggiuse quel colle assolato. Una gita, insieme all’amico viterbese Simone Simoni, che da poco era sbarcato a Tripoli come notaio generale della Tripolitania. Le memorie di mio nonno mi sono venute in mente leggendo Notturno libico di Raffaele Genah. Un romanzo? Si, nella forma letteraria che l’autore ha voluto scegliere. Ma, al di là della forma, si tratta di storia. Se quel cimitero è andato distrutto, se cittadini libici di religione ebraica non esistono più, al di là del sentimento, del dolore dei protagonisti, di storia stiamo parlando. Complessa. Come sempre. E antica.

Non manca, Genah, di ricordare che gli ebrei, in quella che poi si chiamerà Libia, non erano ospiti abusivi. Lì vivevano dal III secolo avanti Cristo, quando quei territori, dopo l’influenza egizia, vengono colonizzati dai greci, dai fenici e dai romani. Poi arrivarono i vandali, i bizantini, i normanni, gli arabi, con il loro califfato islamico, e infine gli ottomani. Gli ottomani che imposero un diritto diversificato: da una parte i mussulmani, dall’altra ebrei. Cittadini, tuttavia figli di un Dio minore, dhimmi, come i cristiani e gli zoroastriani. Sudditi con diritti minori dei mussulmani. D’altra parte alla parità per gli ebrei, in Italia, si arrivò con l’emancipazione decisa dal Regno di Sardegna nel 1848, ed estesa al nuovo regno nel 1859. La storia, appunto, è complessa.

Ebrei, comunque, ancora vittime del pregiudizio antigiudaico, di matrice religiosa, e antisemita, di matrice politica. Ancora all’inizio del Novecento, e ancora oggi, nonostante la Shoah. Un pregiudizio diffuso. Rimasi sconcertato quando, nelle memorie libiche di mio nonno, lessi queste righe: «Vivemmo insieme qualche giorno tra la folla cosmopolita. Da buoni compaesani prendemmo un po’ in giro gli ebreoli per il loro soprabito nero lucido che stacca sulle mutandette bianche. Negli occhi e nei lineamenti un po’ stirati, mal dissimulando avidità di denaro, avarizia e malizia [F. Petroselli, Ospedale da campo. Memorie di un medico cattolico, dalla guerra di Libia a Caporetto, Rubbettino, 2017]». Sconcertato e addolorato. Non me lo sarei mai aspettato. Con il suo amico Simoni, passeggiando per Tripoli, prendeva in giro gli ebrei. Poco m’importa che, all’epoca, Gaetano Salvemini scrivesse: «Mayer è triestino ed ebreo: credergli sarebbe ingenuità». E «Bergmann, ebreo arrivista…» [Memorie e soliloqui. Diario 1922-1923, il Mulino, 2001]». Poco m’importa che frasi del genere siano state scritte migliaia di volte. M’importa di mio nonno. Non vorrei che ne avesse scritte lui.

A parte il dispiacere personale, sono frasi che testimoniano un’epoca, che vorremmo superata, ma purtroppo non lo è. A testimoniarlo sono i due pesi e le due misure che si applicano alla guerra contro Israele scatenata da Hamas con la mattanza del 7 ottobre, confondendo aggressori e aggrediti. Lo Stato israeliano che accolse gli ebrei libici già duramente provati dalla persecuzione italo-tedesca durante la seconda guerra mondiale, e non protetti neppure nel successivo breve mandato britannico. I primi pogrom nel 1945, con 130 vittime. I secondi nel 1948, dopo la nascita di Israele. Già nel 1943 gli ebrei libici cominciavano a migrare verso il “focolare”. Tra il 1949 e il 1952 emigrò in Israele il 90 per cento dei 37mila ebrei libici. Ne rimangono pochi, sempre più discriminati nella Libia ormai guidata da re Idris al Senussi.

In questo contesto storico si dipana la narrazione di Notturno libico. A cavallo tra il 1967 e il 1973. La guerra dei sei giorni scatena nella Libia ancora monarchica una nuova ondata di antisemitismo. Gli ebrei sono ormai poche centinaia. Con il colpo di stato del 1969 che portò al potere il nasseriano Gheddafi la situazione precipitò. Il quotidiano nel nuovo regime indicò la via: i consigli comunali <facciano immediatamente scomparire i loro cimiteri e gettare i corpi dei loro morti, che anche nell’eterno riposo contaminano il nostro paese>. Cimiteri distrutti, cancellati, dunque. Forse anche quello di Zanzùr. 77 sinagoghe trasformate in moschee, e una, a Bengasi, in chiesa copta. Gli ebrei libici dovevano sparire. Non doveva rimanerne neppure l’ombra. Nel luglio del 1970 Gheddafi espulse anche i 14mila italiani – non ebrei – ancora residenti.

Nel 1969 comincia subito la caccia all’ebreo, casa per casa. Molti riuscirono a rifugiarsi in Italia, a Roma in particolare. Ci riuscirono anche Giulio e Jasmine, con il loro figlio di pochi mesi. Sono loro i protagonisti del romanzo. Riescono a fuggire. Ma Giulio deve tornare a Tripoli per cercare di recuperare qualche bene familiare. Viene arrestato. Senza accuse. Senza processo. Più di quattro anni nel carcere di Porta Benito, mentre Israele è colpita alle Olimpiadi di Monaco e dalla guerra del Kippur, e la moglie fa la spola tra Roma, Tripoli, Parigi, Tunisi, ancora Tripoli, con il coraggio della disperazione. La forza di Giulio, il coraggio di Jasmine. Protagonisti e testimoni di anni oscuri. Nel romanzo le loro vite parallele, tra vessazioni e disperazioni, tra violenze fisiche e psicologiche, tra amici veri e traditori, in un contesto di violenza diffusa. Come finisce? Bisogna leggerlo, questo romanzo, calarsi in quella tragica realtà. È l’unico modo per capire.

Raffaele Genah, Notturno libico. La persecuzione degli ebrei di Libia. La battaglia di un uomo, il coraggio di una donna, Solferino, Milano 2023.

Ultimo Aggiornamento: 03/03/2024 17:33