
Piercamillo Davigo, celebre per il suo ruolo di pm nell’indagine di Mani Pulite e successivamente membro del Consiglio Superiore della Magistratura, è stato condannato a un anno e tre mesi dalla Corte d’Appello di Brescia. La sentenza arriva senza sorprese, confermando il verdetto già emesso in primo grado, e segna l’epilogo giudiziario di un caso che ha tenuto banco nell’opinione pubblica e nelle aule giudiziarie.
La sentenza: la dinamica della Loggia Ungheria
Al centro della vicenda giudiziaria ci sono i verbali di Piero Amara, legati alle accuse riguardanti l’esistenza di una presunta loggia massonica denominata Loggia Ungheria, che avrebbe influenzato dinamiche interne alla magistratura e oltre. Davigo è stato accusato di rivelazione del segreto d’ufficio per aver divulgato il contenuto di tali verbali, un’accusa che ha sollevato non poche polemiche e dibattiti sulla libertà di informazione e sui confini del segreto d’ufficio.
La condanna di Davigo non solo chiude un capitolo controverso della sua lunga carriera al servizio della giustizia italiana, ma solleva anche interrogativi più ampi sul delicato equilibrio tra dovere di riservatezza e necessità di trasparenza nelle istituzioni. La vicenda dei verbali Amara e la conseguente condanna dell’ex magistrato mettono in luce la complessità delle dinamiche interne alla magistratura e il dibattito sempre aperto sulla giustizia e i suoi meccanismi.