
Un voto dal peso solamente locale o con riflessi pesanti sullo scenario nazionale (governo e dintorni)? La risposta arriverà dalle 23 in poi di domenica prossima, ora di chiusura delle urne in Abruzzo con immediato avvio dello spoglio delle schede. Da quei risultati emergerà la posta in gioco per il destino politico italiano, visto l’orizzonte elettorale che seguirà nel resto della Penisola (elezioni Regionali e Comunali in agenda) e fino ad arrivare a Bruxelles.
Compattezza dell’alleanza contro campo larghissimo. Il post Sardegna, con la sconfitta della prima squadra in campo, fa intravedere scenari diversi ma soprattutto inaspettati fino a poche settimane fa per tutto il fronte di opposizione al governo. Ma da qui a pensare di poter ribaltare il tavolo ce ne corre, visti i tanti nodi da sciogliere – tra i potenziali alleati – per le prossime scadenze elettorali. Una considerazione è certa: chi ha tantissimo da perdere è la destra di governo, con la leader Meloni che come in Sardegna ha fortemente personalizzato il voto regionale abruzzese, fino a trasformarlo in un referendum sulla sua statura politica.
Andando per ordine di tempo, nell’accordo unitario che si presenta in Abruzzo per sostenere il candidato (indipendente di sinistra) Luciano D’Amico svetta perfino l’ex Terzo polo con Azione e Italia Viva, intruppati con Pd-M5S e Sinistra-verdi e dintorni. Al voto c’è da fare i conti con un team altrettanto compatto (senza i mugugni della Lega di Savini, pare) e con un fedelissimo della premier Meloni, il presidente uscente Marco Marsilio. Ma anche Truzzu, sindaco di Cagliari candidato governatore, è un suo fedelissimo. E ha perso.
Passando alla Basilicata (qui si vota per la Regione il 21 e 22 aprile) è il campo a sinistra è invece assai stretto. Sentite Renzi: «Se in Basilicata la sfida sarà tra il generale Bardi e Speranza, noi saremo dalla parte di Bardi, perché scegliamo le persone non le formule politiche». Dal possibile sostegno di Iv al presidente uscente Vito Bardi, confermatissimo pure qui dalla coalizione di destra-centro, al disorientamento del Pd il passo è breve. Nonostante i due dirigenti nazionali dem inviati qui da Elly Schlein per trovare la quadra (Igor Taruffi responsabile organizzazione, Davide Baruffi per gli enti locali) le riserve su Angelo Chiorazzo -candidato scelto dall’ex ministro della Salute, Roberto Speranza – restano.
Mentre l’ex senatore Pd Salvatore Margiotta crede a una scelta diversa che sia sostenuta da una “coalizione ampia”, i 5 Stelle reclamano alternative per accordarsi col Pd. A oggi c’è una rosa di nomi dal Movimento – il dirigente della sanità Lorenzo Bochicchio e il presidente dell’Ordine dei medici di Potenza, Rocco Paternò – mentre dai dem spuntano il presidente della Provincia di Matera, Piero Marrese; l’ex-presidente del consiglio regionale Piero Lacorazza; il segretario regionale Angelo Lettieri. Nomi su cui il Pd punta per smentire che le alleanze col M5S si fanno solo se c’è un grillino in corsa.
Se si guarda poi al Piemonte (qui si vota in concomitanza con le europee: 8 e 9 giugno) un nome del centrosinistra unito non si vede. La battaglia è tosta: sfidare l’uscente Alberto Cirio sostenuto da Forza Italia (di cui nel frattempo è stato eletto vice-segretario), Fratelli d’Italia, Lega, UdC e Noi moderati. Sull’altro fronte c’è la proposta Chiara Gribaudo, deputata e vice presidente Pd, ma nulla si muove. A Torino più che altrove si materializza l’inimicizia fra dem e M5S, come rileva l’ex sindaca Chiara Appendino oggi deputata. «Non sono io a decidere, ma i temi. Se le risposte saranno positive, ma a oggi non ci sono, si potrà probabilmente costruire il campo giusto. Se rimane così com’è – ipotizza – dovremo andare da soli per una questione di coerenza».
Non solo elezioni Regionali per questo 2024: a giugno si voterà anche in molte città. A cominciare da Firenze, dove quanto a candidature non ci si contiene. Tante quelle in campo (per ora poco largo) con il Pd, che stenta a stringere accordi con i 5 Stelle vista la loro scarsa caratura su piazza. Se l’ex sindaco Matteo Renzi ha già schierato Stefania Saccardi (vice presidente della Regione), la battaglia è con la dem Sara Funaro e con Cecilia Del Re (ex Pd, uscita in polemica dopo il no alle primarie) con una civica di sinistra. E se il centrosinistra al momento è spaccato, il centrodestra ancora non ha deciso su chi puntare per Palazzo Vecchio, dopo una timida ipotesi su Eike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi fino allo scorso dicembre.
Da Firenze a Bari con lo stesso scenario a sinistra: si discute sulla scelta del candidato sindaco. Qui a differenza della Toscana si dovrebbero tenere le primarie, che vedrebbero al voto (ai gazebo) Vito Leccese del Pd e Michele Laforgia del M5S. Il coordinatore regionale pentastellato, Leonardo Donno, ha invitato il centrosinistra a convergere su Laforgia. Il Pd non ha gradito l’appello ai valori non negoziabili, in una competizione in cui di unità ve n’è assai poca.
Poi ci sono le elezioni europee, ma lì ognuno va da solo col proprio simbolo (si vota con il proporzionale) e non sarà necessario allearsi a tutti i costi.