Vai al contenuto

Il viale del tramonto di Matteo Salvini, che non piace più nemmeno a “tutta” la Lega

Pubblicato: 17/03/2024 17:15

Un uomo solo in fondo al gruppo. È il vecchio capitano, ora gregario che arranca su ogni salita che manca fino al traguardo. Non ne ha azzeccata una che è una Matteo Salvini, nell’ultima settimana. E nemmeno prima. Basta registrare le posizioni della Lega nelle tappe con arrivo in Sardegna – totale al 3,7% dall’11,4% del 2019 – e in Abruzzo: 7,57% contro il 27,5% delle precedenti regionali. Per non dire degli stop imposti dagli alleati alle sortite in Parlamento sulla legge elettorale. Per non parlare poi di Luca Zaia

Salvini ha deluso: la voce di insoddisfazione si leva dalle fondamenta

Le batoste sono arrivate dopo la consueta sequela di annunci e proclami. Del resto Salvini è in campagna elettorale permanente da almeno quindici anni – fu eletto segretario del Carroccio nel 2013 – ma oltre alle amarezze del voto oggi deve fronteggiare anche il dissenso della “sua” base”. L’ultimo in ordine di tempo è stato Giuseppe Leoni, tra i fondatori della Lega Nord, che in un’intervista ha ribadito che “nella Lega le cose non vanno bene da un po’. Salvini si è giocato il 30% di voti. E dire che noi l’abbiamo portata a tirare eccome: quando abbiamo eletto Formentini a Milano non eravamo al 3%”.

L’architetto Leoni, che oggi ha 77 anni, ci è andato giù pesante: “Io so che la Lega era federalista, si batteva per il Nord, per l’autonomia, per i lavoratori. Adesso è malata di nazionalismo e di fascismo. Per me che, come Bossi, vengo da una famiglia antifascista, è doloroso”. Vanno così lette come tentativi di rassicurare la Lega delle origini le uscite del Carroccio dell’ultima settimana? Ha infatti riproposto al Senato anche l’emendamento, già bocciato in Commissione, per il terzo mandato ai presidenti di Regione: é la norma nota come “salva-Zaia“, il governatore veneto che con le norme in vigore non potrà ricandidarsi. Proposta respinta con perdite in Aula: FI e FdI sono rimaste contrarie ed è finita con 26 voti a favore e 112 contrari.

La Lega sui ballottaggi: l’ennesimo fallimento

E sui ballottaggi per eleggere i sindaci? La Lega voleva portare al 40% dei voti (invece della maggioranza assoluta) la soglia per cui un candidato sindaco di un Comune – sopra i 15mila abitanti – viene eletto subito senza ballottaggio. Proposta finita tra gli emendamenti presentati in Aula al decreto Elezioni, mercoledì scorso, con sconcerto degli alleati. FdI ha stoppato i salviniani e ha proposto di trasformarlo in un ordine del giorno, anche questo poi impallinato dal voto. “Stavolta è diventato ordine del giorno, la prossima, e lo diciamo al governo, lotteremo fino alla fine e lo metteremo ai voti”, aveva poi indorato la pillola il capogruppo Massimiliano Romeo.

L’iniziativa leghista arrivi a poche settimane dalle Comunali di giugno quando si voterà, oltre che per le Europee, per il rinnovo dei sindaci di 27 capoluoghi. Già, le Europee: in vista di questa partita (si vota con il sistema proporzionale) Salvini ogni mezza giornata avverte gli alleati. La Lega ha la forte necessità di distinguersi da Fratelli d’Italia e Forza Italia, tanto da volerli stuzzicare su argomenti (regole elettorali) allo stato dell’arte quasi evanescenti. Ma è la strategia di compattare il partito per la battaglia europea, di evidenziare lo “strano patto” che emerge tra Fdi e Pd sul terzo mandato: alla Meloni fa comodo per frenare Zaia in Veneto (e che intanto Salvini vorrebbe mandare a Strasburgo: proposta bocciata in settimana dall’interessato) e imporre un proprio candidato; alla Schlein per “sgomberare” la Campania dallo scomodo Vincenzo De Luca.

La strategia però non convince nemmeno tutti i leghisti. Ciononostante, il capitano ripete ovunque: “Il voto alla Lega è un voto unico, lo dico con rispetto degli avversari ma anche degli alleati. Non sarà lo stesso votare per Fratelli d’Italia o Forza Italia”. E aggiunge che l’8 e 9 giugno “o si vince o è un problema. Noi possiamo fare l’autonomia, le infrastrutture e far scendere lo spread. Però il 90% delle decisioni arrivano da Bruxelles”. Messaggio, l’ennesimo, del vicepremier a Meloni e Tajani, pronti a riconfermare l’appoggio alla presidente della Commissione europea: “Pensare che i disastri dell’Europa possano essere rimediati da Von der Leyen, la co-protagonista di questi, è come dire a uno che ha il diabete mangiati lo zucchero filato che fa bene”.

Salvini alla ricerca disperata della prima pagina

Deve averne in serbo ancora parecchie il leader-gregario, fino al voto europeo. Tutte destinate a far rumore e a guadagnarsi titoli di giornale e social indistinti. Come l’ultima di ieri annunciata davanti alla ribalta dei giovani leghisti ribelli (ribelli da chi?): “Il 25 aprile ci troveremo con migliaia di giovani, magari nella terra del Leone, per parlare di libertà e orgoglio e non contro qualcuno. Fascisti e comunisti sono categorie vecchie e superate”. Tradotto: snobbiamo la prossima Festa della Liberazione – del resto è già accaduto – per far parlare di noi i nostri nemici. Purché se ne parli.

“La Lega sembra una belva ferita che prova il tutto per tutto con una foga fuori controllo. Fa ancora parte della maggioranza? Oggi sembra più pronta a fare ostruzione come una forza di opposizione”. Un commento, questo della 5 Stelle Alessandra Maiorino, conforme a un’altra uscita di Salvini: conquistare la doppia cifra e superare il M5S per sedare i malumori tra i suoi. Perché per Salvini la Lega “che ha meno voti dei grillini è una cosa che non si può sentire”.