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Alluvioni a Dubai, c’entra davvero il cloud seeding? Cos’è la tecnica di “controllo del tempo”

Pubblicato: 18/04/2024 16:12
cloud seeding

Un’alluvione imprevista e che ha provocato danni e forti disagi, quella che si è abbattuta nelle scorse ore sulle strade di Dubai. Con oltre 140 mm di pioggia caduti nell’arco di 24 ore, fenomeno decisamente insolito per un Paese solitamente alle prese, piuttosto, con il problema della siccità. Tra le tante spiegazioni possibili, avanzate dagli esperti, c’è quella del cosiddetto “cloud seeding“, letteralmente “inseminazione delle nuvole”. Ma cos’è davvero questo fenomeno e come funziona? Il termine nasce addirittura negli anni Quaranta, anche se solo successivamente è stato poi utilizzato con una certa frequenza. Soprattutto dal 1970, quando venne alla luce un programma “top secret” dell’esercito americano per tentare di allungare la stagione dei monsoni. Nel 1977, gli stessi Stati Uniti firmarono, insieme a India, Russia e Paesi Ue, una Convenzione sul divieto di modificare l’ambiente per fini militari o comunque aggressivi verso altre nazioni. Ma di “cloud seeding”, ancora oggi, si continua a parlare.

Da un punto di vista tecnico, il “cloud seeding” è una stimolazione artificiale delle precipitazioni, che prevede l’utilizzo di aerei per iniettare all’interno delle nuvole sali (principalmente ioduro d’argento o cloruro di sodio) dotati di capacità igroscopiche. In questo modo si favorisce il processo di condensazione del vapore acqueo formando goccioline di pioggia. Grazie a questo processo, secondo l’Organizzazione Meteorologica Mondiale la semina può aumentare le precipitazioni di una singola nuvola anche del 20%.

Queste tecniche vengono oggi utilizzate soprattutto dai Paesi in via di sviluppo, che cercano così di far fronte ai pericoli dell’alta siccità, così come in alcune aree degli Emirati Arabi o della Cina. Il tema è tornato di stretta attualità negli ultimi anni, visto che i cambiamenti climatici hanno reso il clima ancora più arido e le piogge meno generose. Gruppi di ricerca di tutto il mondo stanno così lavorando a progetti per incrementare l’efficienza della pratica: di recente, alcuni ricercatori di università britanniche hanno impiegato droni per colpire le nuvole con impulsi elettrici, sulla base di un progetto finanziato dagli Emirati Arabi Uniti. In futuro, è probabile che l’intelligenza artificiale giochi un ruolo chiave in questi processi, fornendo algoritmi che permetteranno di prevedere con maggior precisione le condizioni meteorologiche perfette per effettuare l’inseminazione.

Ufficialmente, non esistono prove che le alluvioni di Dubai possano essere figlie di questa pratica. In queste ore la fisica climatologa Serena Giacomin ha spiegato ai microfoni di SkyTg24: “Il caso di Dubai sta facendo molto discutere, ma la modellistica utilizzata per analizzare l’andamento meteorologico prevedeva ingenti quantitativi di pioggia sulla regione senza che il processo di “cloud seeding” fosse inserito nel processo di analisi. Possiamo dire due cose: le piogge sarebbero state estreme anche senza inseminazione. Usare il cloud seeding in una situazione atmosferica del genere non avrebbe avuto comunque senso”.

Anche le autorità hanno negato categoricamente un collegamento. Negli ultimi anni, però, non sono mancati allarmi sui rischi del cloud seeding: l’utilizzo una tantum non è considerato pericoloso, mentre pratiche intensive potrebbero rivelarsi, oltre che molto costose, fuorvianti. Distorcerebbero, infatti, le attenzioni da vere strategie di adattamento, fondamentali per far fronte ai cambiamenti climatici degli ultimi anni. Senza preparare davvero le città e gli abitanti a uno stile di vita in grado di vincere le nuove sfide.

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