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C’era una volta la libertà in Italia: cosa dicono i dati sul nostro Paese

Pubblicato: 30/04/2024 12:08

Una stampa libera e indipendente è sinonimo di garanzia per la sussistenza della democrazia in ogni Paese del pianeta. E’ un concetto che si può dare per scontato anche per l’Italia? Dai dati rilevati lo scorso anno sembra di no. E per questo 2024 non è che i segnali che sono arrivati siano stati incoraggianti. Tutt’altro.

A parlare con preoccupazione per la libertà e l’indipendenza di chi fa informazione in Italia è il rapporto di Liberties (Civil liberties union for Europe), organizzazione indipendente che analizza l’insieme dei diritti umani regolamentati – e sostenuti – nei 27 Paesi dell’Unione europea. Il rapporto sulle analisi effettuate nell’anno scorso non è incoraggiante per chi fa il tifo per la democrazie. “La libertà e il pluralismo dei media sono pericolosamente vicini a un punto di rottura in molti Paesi europei”, si legge. E ancora: “In alcuni paesi devono essere quasi completamente ripristinati”. Detto che in Italia le criticità sul tema sono riconducibili alla prima osservazione (il punto di rottura), il report analizza in particolare l’influenza e le ingerenze del potere politico nei media del servizio pubblico.

Senza tornare a elencare i episodi di contestazione al mancato pluralismo rivolti al servizio radiotelevisivo pubblico (i vari canali Rai), che il caso del monologo di Scurati ha soltanto allungato, sembra scontato che l’attenzione di Liberties abbia coinvolto anche l’Italia. Per l’istituto non goverativo figura infatti tra le nazioni “ad alto rischio” nel Media Pluralism monitor. Questo nonostante l’anno scorso sia stato adottato l’European Media Freedom Act (regolamento Ue sulla libertà dei media) e sia stata varata la direttiva che punta a proteggere i giornalisti dalle querele temerarie, ovvero quelle cause legali civili intentate allo scopo di intimidirli.

Ma per cosa la libertà di stampa nei Paesi Ue viene messa in discussione, o è a rischio? Per il rapporto è un fattore a dir poco anomalo che ci sia una concentrazione di testate e canali di informazione riconducibili a pochi editori; se non peggio, quando non si registra trasparenza su queste proprietà. Ma anche se si registrano “minacce all’indipendenza delle reti di servizio pubblico e alla loro sopravvivenza economica, attacchi, intimidazioni e violenze contro i giornalisti, restrizioni alla libertà di espressione e all’accesso alle informazioni”. In particolare, il Media Pluralism monitor 2023 pone l’Italia tra le nazioni dell’Ue in cui l’indipendenza del servizio pubblico è maggiormente minacciata.

Sia chiaro, l’Italia non è la Slovacchia dove il governo social-populista di Robert Fico (definito “filo Putin”) ha varato una legge per abolire l’azienda radio-tv del servizio pubblico e sostituirla con una definita “più obiettiva”. Tuttavia Liberties rileva che “in Croazia e in Italia, crescono le preoccupazioni circa l’influenza del governo”. Questo anche perché “le pressioni politiche e finanziarie hanno continuato a ostacolare i media, soprattutto il servizio pubblico, in molti Stati membri. Le reti pubbliche sono sotto controllo del governo in Ungheria e in Polonia sono in una situazione di incertezza dopo il recente cambio di governo”.

Ingerenza, per utilizzare un termine gentile, del potere politico sulle attività di comunicazione del servizio pubblico italiano. Come avviene? “Il numero di querele utilizzate personalità politiche – registra il report – nel tentativo di colpire i giornalisti più critici nei confronti del governo, è cresciuta”. Con un esempio pratico: la denuncia per diffamazione presentata dal sottosegretario al ministero del Lavoro, Claudio Durigon (Lega), nei confronti della redazione del giornale Domani, dopo la pubblicazione di un articolo su presunti legami tra il parlamentare e i alcuni appartenenti a un clan criminale di Latina. Scontato il focus sulle proposte di legge arrivate in Parlamento per riformare il regime di diffamazione a mezzo stampa: “È preoccupante – rileva il rapporto – il fatto che alcuni di questi emendamenti abbiano spostato la loro attenzione dalla necessità di proteggere i giornalisti dalle querele abusive alla necessità di tutelare i querelanti, per dare priorità alla loro reputazione rispetto alla libertà di espressione”. 

Solo nel 2023, continua il report, “Mapping Media Freedom ha registrato in Italia 24 episodi di procedimenti legali contro giornalisti. Questo minaccia gravemente la libertà di espressione. Non manca una riflessione sulla così detta legge bavaglio, approvata lo scorso febbraio e che consegna la governo una delega per vietare l”a pubblicazione di alcuni atti giudiziari. “Una norma che rende difficile, se non impossibile, la verifica di alcune notizie. Impone il divieto di pubblicare qualsiasi contenuto sui motivi dell’arresto o del procedimento giudiziario, sui contenuti delle ordinanze di custodia cautelare, almeno fino alla fine dell’udienza preliminare. I giornalisti italiani hanno definito il divieto un grave colpo alla libertà di stampa”, analizza il rapporto.

Il 2024 per l’informazione italiana non sembra aver registrato punti di svolta, se non in negativo. Come il nuovo articolo proposto – lo scorso 11 aprile – in un emendamento dal senatore Gianni Berrino di Fratelli d’Italia (il partito della premier) per modificare la legge sulla stampa. “Chiunque, con condotte reiterate e coordinate, preordinate ad arrecare un grave pregiudizio all’altrui reputazione, attribuisce a taluno con il mezzo della stampa “fatti” che sa essere anche in parte falsi, è punito con il carcere da 1 a 3 anni e con la multa da 50mila a 120mila euro. Se si sa che l’offeso è innocente, la pena aumenta da un terzo alla metà, cioè fino a 4 anni e mezzo di carcere”. Emendamento poi ritirato dopo le proteste suscitate.

In tutta Europa, i giornalisti continuano a subire intimidazioni, sorveglianza, attacchi e detenzione”. Ma si arriva oltre: i giornalisti “devono anche affrontare cause legali che prosciugano tempo e risorse e li scoraggiano dal perseguire storie”. Secondo Liberties, inoltre, in Italia la disinformazione resta “un problema serio”. Nel complesso, a risentirne sono soprattutto i livelli di fiducia dei cittadini nei confronti degli organi di informazione, che restano bassi nella gran parte dei Paesi esaminati.