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In Italia siamo sempre più poveri: il Mezzogiorno è il territorio più in crisi

Pubblicato: 17/05/2024 12:30
povertà istat

In Italia vivono dieci milioni di poveri in più rispetto al 2014. In base ai dati disponibili al 2023, i cittadini italiani che sono costretti a vivere in condizioni di povertà sono 5,7 milioni, il numero più alto tra tutti i rilevamenti effettuati dieci anni fa. E senza l’applicazione del reddito di cittadinanza la cifra sarebbe potuta lievitare ancora. Lo rileva l’Istat nel suo Rapporto annuale sulla situazione del Paese (Rapporto Istat situazione 2024) uscito in questi giorni.
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I dati Istat: aumenta la povertà assoluta

Secondo l‘Istituto centrale di statistica l’incidenza della povertà assoluta nelle famiglie italiana è passata dal 6,2% riscontrato nel 2014 all’8,5 di oggi. Se poi si fa riferimento al singolo individuo l’impennata è dal 6,9 al 9,8%. In termini reali, le persone costrette a vivere in situazioni che si possono definire di indigenza sono ben 1,6 milioni in più, rispetto a dieci anni fa. I dati risultano ancora più alti nel Mezzogiorno: qui il tasso di incidenza è superiore al 10% sia nel Sud e che nelle Isole. Ancora: i più colpiti dall’aumento delle forme di indigenza sono soprattutto gli stranieri, per i quali tra il 2020 e il 2022 la povertà assoluta nelle famiglie residenti in Italia è risultata oltre il 30%.

Il Rapporto annuale conferma il report precedente dell‘Istat – stime preliminari – diffuso lo scorso marzo, che evidenziava il peggioramento della condizione delle famiglie italiane rispetto all’anno precedente. Secondo l’istituto centrale di statistica nel 2023 le famiglie in povertà assoluta erano all’8,5% del totale dei residenti, in aumento rispetto all’8,3% del 2022 (fissati come il 9,8% degli italiani, una quota pressoché stabile rispetto al 9,7% dell’anno precedente). Netto l’incremento di famiglie che hanno un lavoratore dipendente come capofamiglia: per loro l’incidenza di povertà assoluta ha toccato il 9,1% (era all’8,3% nel 2022).

Non c’è contrapposizione tra i recenti dati riguardo all’occupazione e quelli sui redditi più bassi. Perché se il lavoro cresce (ma molto va analizzato rispetto alle tipologie di contratti rilevati) è anche riscontrato che l’11,5% degli occupati rimane a rischio povertà. Soprattutto se si pensa ai contratti atipici del lavoro a somministrazione. In Italia molti lavoratori vivono infatti in uno stato di vulnerabilità per il reddito di cui possono disporre. Qui più che altrove in Europa: se nelle maggiori economie europee, sempre negli ultimi 10 anni, il potere d’acquisto delle retribuzioni lorde è cresciuto (dell’1,1% in Francia e del 5,7% in Germania), “in Italia – rileva l’Istat – è sceso di oltre quattro punti percentuali. La quota di occupati a rischio povertà resta all’11,5%, contro la media europea dell’8,5%.

Dal report Istat 2024 emerge in particolare come la condizione di povertà colpisca anche i più giovani, visto che sono 1,3 milioni i minorenni in situazione estrema (con un’incidenza del 14%). Tuttavia, questi dati sarebbero potuti essere più alti senza l’applicazione (in vigore dal 2019) di misure di sostegno come il reddito di cittadinanza. Senza, spiega il Rapporto, “l’incidenza di povertà assoluta familiare nel 2022 sarebbe stata superiore di 3,8 e 3,9 punti percentuali, rispettivamente, nel Sud e nelle Isole. Tra le famiglie in affitto, l’incidenza di povertà sarebbe stata del 5% superiore. Tra le famiglie con persona di riferimento in cerca di occupazione, l’incidenza sarebbe stata al 36,2% nel 2022, ben 13,8 punti percentuali in più”. Questa misura di inclusione sociale “ha permesso di uscire dalla povertà a 404mila famiglie nel 2020, 484mila nel 2021 e 451mila nel 2022”.

E il futuro? Non fa intravedere scenari positivi, perché l’Istat rimarca il già consistente invecchiamento della forza lavoro. La crescita dell’occupazione che pure è stata registrata – positivamente – nell’ultimo anno è stata in gran parte supportata dall’aumento di 4,5 milioni di occupati con più di 50 anni. Tra gli gli under 35 invece, si registra un calo di due milioni di occupati (un milione tra chi un’età tra i 35 e i 49 anni). “La situazione si è invertita alla fine degli anni 2000: la recessione ha penalizzato di più le giovani generazioni”, si legge nel report. Anche l’aumento del lavoro a tempo indeterminato (+9,7%) ha riguardato principalmente occupati ultracinquantenni.

“L’età adulta oggi non può più essere considerata sinonimo di stabilità e certezze acquisite. D’altro canto, però, la diffusione crescente di stili di vita sani ha aumentato gli anni di vita in salute, influenzando positivamente la qualità della vita, anche nelle età più avanzate e dimostrando che è possibile rimanere attivi a lungo. Le generazioni dei giovani hanno visto migliorare le dimensioni della loro vita quotidiana; di fronte alle grandi sfide esprimono elevati livelli di soddisfazione per la loro vita e alti livelli di partecipazione sociale”, conclude l’Istat.

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Ultimo Aggiornamento: 24/05/2024 13:21

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