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“Morte Falcone? Perché le toghe sono colpevoli”. Martelli sbalorditivo: il racconto inedito di quella tragedia

Pubblicato: 20/05/2024 12:22

Claudio Martelli ha voluto ricordare i giorni trascorsi al ministero di Grazia e Giustizia con Giovanni Falcone. E lo ha fatto in una lunga e intensa intervista rilasciata al Corriere della Sera da cui emergono dettagli molto interessanti. “Quasi tutte le mattine veniva nel mio ufficio, si sedeva di fronte a me, prendeva fiato come faceva lui, tirava fuori il suo blocchetto di post-it e li attaccava sulla mia scrivania. C’erano spunti sugli argomenti più diversi. Da riforme complesse a piccoli grandi problemi di cui veniva a conoscenza”. Poi Martelli racconta la parte umana: “A lui piaceva fare scherzi. Per esempio toglieva la chiave mentre guidava l’auto. L’auto voleva sempre guidarla lui, era la sua mania. È morto anche per questo a Capaci: se si fosse seduto dietro, si sarebbe salvato. A volte la sera uscivamo a Roma. Ci mettevano d’accordo, licenziavamo le scorte e andavamo a cenare in ristoranti fuori mano. Da soli. Facemmo viaggi in giro per l’Europa e per gli Stati Uniti”. (Continua a leggere dopo la foto)
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Martelli chiamò Falcone a Roma il 2 febbraio del 1991, appena diventato Guardasigilli del settimo governo Andreotti. “Lo nominai direttore degli Affari penali, il ruolo più importante al ministero. Non aveva ancora preso l’incarico quando una sera ci fu una sparatoria davanti alla mia casa sull’Appia. I due fermati dissero di essere dei cacciatori. Si scoprì dopo che erano due mafiosi di Alcamo, che intanto erano stati rilasciati. Comunque, la mattina seguente Giovanni volle venire a vedere. Osservò i proiettili nel muro e commentò: ‘Non è un attentato, è un ammonimento’. Forse gli sembrai deluso e allora aggiunse sorridendo: ‘Non si preoccupi, se continua così un attentato prima o poi glielo fanno’. Credo non sia mai stato così felice in vita sua come in quell’anno e mezzo a Roma. Era rasserenato, presentava progetti ogni giorno. Poteva fare il lavoro che aveva sempre sognato…”. Poi si arriva al capitolo più cupo dell’intervista e della vicenda. E qui Martelli prende di petto le toghe. (Continua a leggere dopo la foto)

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Si parte dal gennaio del 1988, quando il Consiglio superiore della magistratura doveva decidere chi sarebbe subentrato ad Antonino Caponnetto come capo dell’Ufficio istruzione di Palermo. La nomina di Falcone era scontata. “Era il magistrato più famoso al mondo – ricorda Martelli – Aveva fatto condannare la cupola mafiosa. Aveva sviluppato la cooperazione giudiziaria internazionale con l’Fbi, la magistratura francese, quella tedesca. Ma il Csm gli preferì Antonino Meli. Fu una manovra decisa dai magistrati a tavolino per tagliar fuori Falcone, perché Meli puntava a un’altra carica. Fernanda Contri, che era uscita sconfitta dalla battaglia nel Csm, ricevette una telefonata da Falcone: Avete capito che mi avete consegnato alla mafia? Ora possono eseguire senza problemi la sentenza di morte già decretata da tempo, perché sanno che non mi vogliono neanche i miei'”. Parole raggelanti. Martelli è durissimo: “Il Csm lo degradò, lo delegittimò. Lo espose”. Ma Martelli lo chiamò a Roma. “Gli dissi che avrei voluto trasformare in leggi dello Stato le esperienze che lui aveva maturato con il pool antimafia”. (Continua a leggere dopo la foto)

Conclude Martelli il suo racconto: “Costruimmo l’Fbi all’italiana: da una parte la Direzione nazionale antimafia e dall’altra — insieme al ministro dell’Interno Vincenzo Scotti — la Direzione investigativa antimafia. Strutture nuove, con basi in tutta Italia e il vertice a Roma. Scrivemmo anche la legge antiracket per dare coraggio ai commercianti e indurli a denunciare la mafia che li obbligava al pizzo. E istituimmo la Procura nazionale antimafia”. Racconta Martelli: “In Parlamento si scatenarono i fascisti e i comunisti, questi ultimi impegnati a tutelare la loro longa manus nel Csm. I magistrati per la prima volta dichiararono lo sciopero nazionale e lo condirono con attacchi personali a Falcone. E ovviamente si misero di traverso per la sua nomina alla Superprocura. Ingaggiai una dura lotta con il Csm perché Falcone ottenesse l’incarico. Ma il 23 maggio del 1992 venne ucciso a Capaci insieme a sua moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e agli agenti della scorta”.

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