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L’Italia è un paese di vecchi: le ragioni della decadenza

Pubblicato: 25/05/2024 09:51

Dell’inverno demografico non si vede la fine e l’Italia si avvia sempre di più a essere una nazione “anziana”, nella quale nascono pochissimi bambini e la popolazione invecchia. Con tutto quello che ne consegue sui sistemi sociali e sanitari, per non parlare di quello previdenziale.

I numeri parlano. Sono quelli del sistema di data analyst di Openpolis.it che si è concentrato sui dati demografici Istat del 2023 (ancora provvisori) rispetto all’anno precedente. Dati messi a confronto e che forniscono una serie di riflessioni importanti sul futuro del Paese. Come questo: il calo demografico incide anche a livello territoriale; in oltre sei comuni italiani su dieci il tasso di natalità è inferiore anche rispetto alla media nazionale. Così dal 2008, ultimo anno di “picco” nella breve crescita demografica registrata a metà anni Duemila, la curva ogni anno ha segnato nuovi record negativi. In 15 anni le nascite in Italia sono diminuite di quasi 200 mila unità (-34,2%), più di un terzo in meno rispetto a fine anni 2000.

Gli ultimi dati: Nel 2023, rileva lo studio, con 379 mila nuove nascite rispetto al 2022 ci sono stati 14mila neonati in meno (il 3,6%). La diminuzione “riguarda sia i nati con cittadinanza italiana che senza, e incide anche sul tasso di natalità, ovvero il numero di nuove nascite in rapporto agli abitanti. Nel 2023 questo tasso è sceso a 6,4 nati ogni mille abitanti dai 6,7 del 2022 – spiega Openpolis – ma era di 9,7 nel 2008, quota scesa a 8,3 nel 2014 e a 7,0 nel 2019, ultimo anno prima del Covid. Da allora la cifra è scesa sotto la soglia psicologica del 7, attestandosi a 6,8 nel biennio 2020-21, fino ai 6,4 delle stime preliminari del 2023.

Sempre meno nuovi nati. Un declino che la ricerca fotografa anche nei diversi angoli d’Italia. Tra 2014 e 2021 (ultimo dato disponibile per stime a livello comunale), il tasso di natalità è diminuito in oltre 5.600 comuni (il 71,6% del totale). Mentre nel 61,6% di questi il tasso registrato nel 2021 è stato inferiore alla media nazionale dello stesso anno (6,8 nati ogni mille abitanti). Quali aree sono andate in controtendenza? In provincia di Bolzano quasi 9 comuni su 10 hanno superato il tasso di natalità nazionale; come nell’area di Ragusa (83,3% sopra la media) e nella città metropolitane di Catania (81%) e Napoli (70,7%). Tra i capoluoghi italiani invece è Catania il comune con il tasso di natalità più alto nel 2021: ben 8,6 nati ogni mille abitanti. Seguono, con 8 nati per mille residenti, Andria, Barletta e Palermo. All’opposto, con meno neonati rispetto ai residenti, spiccano diverse città sarde e Ascoli Piceno (tasso al 4,9); Oristano (4,9); Cagliari (4,5); Nuoro (4); in particolare a Carbonia il tasso di natalità è sceso a 3,1 nati ogni mille abitanti nel 2021.

L’analisi va anche alla ricerca dei perché l’Italia fa sempre meno figli. Partendo dalla considerazione che “ci sono innanzitutto radici strutturali: le persone in età fertile, dopo l’uscita dal boom economico dall’età riproduttiva – sono sempre meno”. Da Openpolis riprendono il rapporto dell’Istat su natalità e fecondità della popolazione residente – ottobre 2023): “Il calo delle nascite è in parte causato dai mutamenti strutturali della popolazione femminile in età feconda, convenzionalmente fissata tra 15 e 49 anni. In questa fascia le donne sono infatti meno numerose di un tempo. Quelle nate negli anni del baby-boom (dalla seconda metà degli anni Sessanta alla prima metà dei Settanta) sono quasi tutte uscite dalla fase riproduttiva mentre quelle che oggi ancora vi si trovano scontano l’effetto del cosiddetto baby-bust, ovvero la continua riduzione della fecondità del ventennio 1976-1995 che ha portato al minimo storico di 1,19 figli per donna nel 1995”.

Il calo demografico persistente pone un’ipoteca sul futuro del paese. Una popolazione in invecchiamento e senza ricambio generazionale porterà a rendere “insostenibili il sistema sociale, quello previdenziale e sanitario. Con ripercussioni soprattutto sulla parte più debole della società, a partire dalle persone – spesso anche minori – in condizione di difficoltà economica o di esclusione sociale”. Si può intervenire, e se sì come, nell’immediato? “Si tratta di questioni complesse, connesse a fattori sociali e culturali più ampi e che non riguardano solo l’Italia per cui vanno evitate letture semplicistiche. Ma non va sottovalutato come un investimento complessivo su un insieme di interventi per la conciliazione tra famiglia e lavoro possono rappresentare un supporto nella scelta della genitorialità”, dicono i ricercatori. Elencando i congedi parentali, l’assegno per i figli e i diversi servizi per l’infanzia (asili nido, mense ecc.) poco presenti in ampie aree del paese. “Questi possono fornire un supporto necessario, anche se non sufficiente. Non c’è una politica pubblica che, da sola, può invertire la tendenza. Ma ciò non significa che passi ulteriori in questa direzione siano inutili”.

I dati fornti nella ricerca sono contenuti dell’Osservatorio povertà educativa #conibambini realizzati da Openpolis con l’impresa sociale Con i Bambini (fondo per il contrasto della povertà educativa minorile). I dati utilizzati “sono a disposizione in formato aperto; sono stati raccolti e trattati per poterli analizzare in relazione con altri dataset di fonte pubblica, con l’obiettivo di creare un’unica banca dati territoriale sui servizi”.

(I dati sul tasso di natalità sono di fonte Istat rilasciati nell’ambito delle statistiche sperimentali).

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