
7 giugno 2024 – 7 ottobre 2023. Otto mesi sono passati dall’attacco terroristico di Hamas a Israele. Giorno dopo giorno la speranza di una rapida soluzione della crisi, anche umanitaria, è andata sfumandosi. Gli ostaggi israeliani non sono ancora stati liberati e molti sono stati uccisi. La reazione militare israeliana alla mattanza continua tra alti e bassi e le trattative per la pace, palesi e sotterranee, non hanno dato frutti, mentre le decisioni del governo israeliano sono criticate da organismi internazionali e anche da Paesi storicamente alleati di Tel Aviv. In questo contesto drammatico si inseriscono le riflessioni del giornalista e saggista Gianni Scipione Rossi, che ha pubblicato il pamphlet Anche Israele, però…” L’ombra lunga dell’antisemitismo (Intermedia Edizioni).
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La denuncia dell’antisemitismo che si è andato diffondendo in questi mesi, anche in Italia, nelle piazze, nelle università, è il cuore del saggio. <Antisemitismo e antisionismo – ricorda Rossi – si comportano come un fiume carsico. Sembrano inesistenti, come le acque che scorrono sotterranee. Sembrano sentimenti affievolitisi nel tempo, almeno nella percezione dei cittadini comuni>. A 75 anni dalla nascita dello Stato di Israele la strage del 7 ottobre 2023 ha in effetti segnato un tragico punto di svolta. Le acque silenti sono salite rabbiosamente in superfice e tornano a inquinare il discorso pubblico.

L’aggressione terroristica di Hamas nel deserto del Negev, mentre era in corso un rave party, ha suscitato un immediato sgomento, tuttavia rapidamente sostituito dall’inversione dei ruoli. Lo Stato ebraico aggredito è stato dipinto come aggressore, dimenticando la storia complessa del Medio Oriente. Dimenticando che gli arabi palestinesi sono anch’essi vittime del fanatismo islamico, utilizzati dai terroristi come scudi umani. La verità rovesciata è diventata un mantra collettivo. Si torna a mettere in dubbio il diritto di Israele di difendersi, di esistere in pace come Stato democratico e sovrano. <È arrivato il momento di schierarsi> scrive Rossi, sostenitore della prospettiva dei “due popoli, due Stati”. Di schierarsi pubblicamente, <contro il pacifismo strabico, la faccia oscura del razzismo antisemita>, al delle perplessità sulla guida politica di Israele. In un testo che lo stesso autore definisce come una sorta di <personale e amaro diario della crisi, che da varie angolature affronta questa sorta di nuova/antica questione ebraica. Che il pregiudizio antiebraico si sia col tempo sempre più proiettato in modo così aggressivo anche su Israele aggrava, ma non cambia la sostanza. L’antisemitismo è un caleidoscopio. Quale faccia si manifesti manovrandolo non cambia per chi deve subirlo>.

E a subirlo, sono gli ebrei, ancora oggi. Contro l’antisemitismo mascherato da antisionismo – ricorda Rossi – il cantautore e poeta Herbert Pagani – ebreo italo-libico, che dovette fuggire con la famiglia da Tripoli negli anni Cinquanta – si schierò nel 1975 contro l’equiparazione tra sionismo e razzismo votata dall’Onu, poi cancellata solo nel 1991. Nella sua dolente “Arringa per la mia terra” scrisse: <Le frontiere le dobbiamo disegnare insieme. Tutta la sinistra sionista cerca da trent’anni degli interlocutori palestinesi, ma l’OLP, incoraggiata dal capitale arabo e dalle sinistre europee, si è chiusa in un irredentismo che sta costando la vita a tutto un popolo, un popolo che mi è fratello, ma che vuole forgiare la sua indipendenza sulle mie ceneri. C’è scritto sulla carta dell’OLP: “verranno accettati nella Palestina riunificata solo gli ebrei venuti prima del 1917”. A questo punto devo essere solidale con la mia gente. Quando gli arabi mi riconosceranno, mi batterò insieme a loro contro i nostri comuni oppressori. Ma per oggi la famosa frase di Cartesio penso, dunque sono non ha nessun valore. Noi ebrei sono cinquemila anni che pensiamo e ci negano ancora il diritto di esistere. Oggi, anche se mi fa orrore, sono costretto a dire mi difendo, dunque sono>. Un’arringa amara, che non andrebbe dimenticata.