
La notizia era nell’aria, nelle voci, nei sussurri e grida dei think thank da tempo. Biden è pronto per ritirarsi, essendo votato alla sconfitta elettorale a novembre, resiste ancora solo per le pressioni del suo cerchio magico, familiari compresi, che sperano inutilmente di conservare alcune fette di potere. La sostituta democratica per le elezioni presidenziali non è certo la scialba Kamala Harris, ma un volto noto, una star assoluta dei media internazionali, l’unica capace di battere nei sondaggi The Donald: Michelle Obama. Michelle, ma belle, mia bella, cantavano i più grandi di sempre, i Beatles, these are words that together well, sono parole che stanno bene insieme, I need to you, ne ho bisogno grida l’America democratica, la culla della democrazia derivante dalla rivoluzione illuministica, la terra di Thomas Jefferson, di Abram Lincoln, di JFK.
Trump fa paura, questa volta non farà prigionieri, farà la pelle all’Ucraina con l’altro autarca russo, e magari il Times chiederà il nobel per la Pace, oltre al primato del PIL per la ricostruzione dell’est europeo russo. Forse il più grande appalto della Storia, altro che PNRR.
Michelle Obama è nell’immaginario collettivo, nonostante le sue resistenze ad abbandonare una vita comoda e dorata, la nuova Pulzella, la Giovanna d’Arco, ma più moderna, atlantica e di colore. Certo per l’America profonda avere una donna di origini afro al comando supremo sarebbe uno shock anafilattico, e comunque vada il film dispotico visto agli Oscar, Civil War, potrebbe diventare realtà. Gli USA sono in profonda frattura e crisi, sembra il motto degli anni ‘60, Dio è morto, e noi (europei) non stiamo tanto bene.