
Quando nel 1948 nasce lo stato israeliano, si realizza un sogno per un intero popolo. Un popolo composto da gente che per secoli è stata ghettizzata, martoriata e sterminata. Finalmente, gli ebrei trovano nel territorio palestinese una casa cercata invano per troppo tempo. E se la storia è un grande libro, per gli ebrei è qui che inizia la seconda parte del proprio racconto familiare. Finalmente, un popolo ha uno stato.
Ma è in questi momenti che la complessità della storia si fa viva, una complessità che arriva fino ai giorni nostri, al 7 ottobre, alla risposta di Israele nella Striscia di Gaza, a una guerra che, come tutte le guerre, ha le sue contraddizioni. Districarsi dai rovi della complessità non è mai facile, ma forse, per questa grande storia, è la figura di Golda Meir a tenderci una mano verso una limpida verità: gli eventi dell’ultimo anno hanno fatto dimenticare quali furono le basi che portarono alla fondazione di Israele e quali furono le idee della premier israeliana che più di tutti rappresentò il sogno del suo popolo.
Ed è stata proprio la figura di Golda Meir e la sua Israele al centro del dibattito avvenuto il 6 luglio sullo sfondo del festival Panorami di Montefiascone (Viterbo). Gianni Scipione Rossi ed Elisabetta Fiorito ci raccontano, partendo dai loro rispettivi libri “Anche Israele però…: l’ombra lunga dell’antisemitismo” (Intermedia Edizioni) e “Golda: Storia della donna che fondò Israele” (Giuntina), la visione con cui il mondo ebraico si è instaurato e si è sviluppato in Medio Oriente, le difficoltà che uno stato circondato da nemici ha dovuto affrontare e l’impegno di una grande donna per mantenerlo in vita.

Una storia di antisemitismo
Il discorso sulla nascita dello stato israeliano non poteva che partire dall’antisemitismo, da come alla fine della Seconda guerra mondiale tutto ciò che si voleva era che qualcosa di così aberrante non potesse mai più accadere. E su come rendere questo desiderio certezza – in realtà fin dalla fine del XIX secolo – si basarono le differenze tra bundisti e sionisti. I primi, nati nell’Impero russo, credevano che l’antisemitismo si sarebbe superato attraverso la realizzazione di una società democratica e socialista, che avrebbe portato al riconoscimento giuridico degli ebrei come minoranza nazionale; i secondi credevano che l’unica risposta efficace sarebbe stata quella di una “Terra d’Israele”.
Poi la storia ha avuto il suo corso: l’Impero russo crollò, la Seconda guerra mondiale cambiò le sorti di un intero continente, e nacque lo stato d’Israele. Nacque su un territorio del defunto Impero Ottomano, in una zona in cui, seppur ghettizzati, alcuni ebrei già vivevano. In generale, il nuovo stato venne fondato in una zona quasi completamente disabitata, in cui non vi era nulla di simile a uno stato palestinese, poiché allora non esisteva un popolo palestinese.
È proprio qui che ha inizio la storia di Golda Meir. Nata nel 1898 a Kiev, allora parte dell’Impero russo, fin da piccola conobbe la cattiveria e la crudeltà dell’antisemitismo dei pogrom. Eventi che portarono i genitori a trasferirsi negli Stati Uniti, dove Golda studiò e iniziò a mostrare grandi doti di leadership. Qui, grazie alla sorella, iniziò ad avvicinarsi ad ambienti sionisti e femministi che la portarono a decidere di lasciare l’America per trasferirsi in Palestina. Nel 1921 partì insieme al marito e andò a vivere in un kibbutz. Fu anche la vita comunitaria di questo che influenzò la sua visione – come era in realtà originariamente quella nazional-sionista – socialista della vita.
La politica Golda Meir
Ma se la sua storia, come ci raccontano Fiorito e Rossi, può ancora esserci utile per comprendere come Israele abbia vissuto e ancora viva il rapporto con ciò che lo circonda, è grazie alla sua visione del mondo arabo. Da sempre donna risoluta, più volte durante la sua esperienza politica cercò di avere contatti diretti con i paesi arabi, riuscendo in più di un’occasione ad andare oltre le terribili pagine che contraddinsero il suo governo, tra le quali la guerra dello Yom Kippur e il massacro di Monaco di Baviera ai Giochi olimpici del 1972. Lo stesso anno, nella celebre “Intervista con la storia” di Oriana Fallaci, Meir, allora già Primo Ministro, spiegò le difficoltà che caratterizzavano il mondo Medio orientale: “Mi chiedete se sono disposta a fare la pace con gli stati arabi, a sedermi al tavolo, io sono sempre disposta, ma se gli stati arabi hanno dei governi autocratici, dittatoriali, quali garanzie ho che se stringo un accordo con Sadat, e questo viene assassinato, chi viene dopo confermerà gli accordi di pace?”. Quasi una visione premonitrice quella sul Presidente egiziano, che proprio con la vita pagò gli accordi di Camp David.

Fiorito ci ricorda come Sadat, nello storico viaggio a Israele nel 1977, volle incontrare, seppur non avesse più alcuna carica istituzionale, Golda Meir. All’incontro, il leader egiziano disse all’ex presidente israeliana che era tanto che voleva incontrarla, al che lei replicò con un semplice: “Perché non sei venuto prima?”, a indicare con semplicità come, fosse stato per lei, tanto di ciò che la storia ci ha restituito non sarebbe mai dovuto succedere.
Oggi ci troviamo in una diversa fase storica. I rapporti di forza tra Israele e Palestina sono molto diversi, una risposta a ciò che è accaduto il 7 ottobre era inevitabile e probabilmente anche giusta, se proviamo a comprendere ciò che è stata la storia di questo paese a partire dal 1948 e del suo popolo da molto prima. Tuttavia, le azioni compiute dal governo di Netanyahu possono avere come unica conseguenza quella di destabilizzare i fragili rapporti esistenti tra Israele e il mondo arabo. Forse, con Golda Meir, le cose sarebbero andate diversamente.