
Oggi Emmanuel Macron è chiamato a scegliere. Fin qui ha sempre preso la strada della Tecnocrazia e del potere, quella che era nelle sue corde di predestinato della École, la scuola che forma in Francia le Élite. Oggi si trova al bivio della Politica, la capacità di ascoltare, capire, mediare. Ha queste doti: troverà dentro di sé le corde giuste per cambiare? Brigitte riuscirà a farsi specchio per un nuovo Emmanuel, il Macron II?
Il compito è arduo, qua non c’è da convincere Melenchon, che è un incrocio tra Corbyn e Cossutta, ma la Francia: quella profonda, quella contadina, le banlieu di Marsiglia, gli agricoltori e gli autotrasportatori, le piccole imprese e gli impiegati delle Vallee. Non tutto è Parigi e Défense, non tutto è Mbappè.
La Douce France oggi è amara, divisa, faziosa, sono gli effetti della globalizzazione su una terra ancora arcaica, nonostante LVMH, nonostante Arnault sia l’uomo più ricco del mondo. O forse proprio per questo. La Francia è la patria de l’Egalité, de l’l’Humanité messa in pericolo dal terrorismo, de la Fraternité scossa da guerre a Est e a Sud. Può fare a meno di questi principi su cui è stata rifondata dopo Carlo Magno?
Macron sarà costretto a trovare una sintesi difficilissima, ed un uomo di grande esperienza politica per guidarla, non certo una marionetta effige del suo potere come Attal che si è giustamente dimesso. Forse dovrebbe aggiungere una vocale, e chiamare da Civil Servant un suo mentore Jacques Attalí, professore a Science Po e profondo conoscitore della politica francese, o un uomo di altra estrazione come Alain Minc, comunque deve scegliere un uomo che rispetti e non un burattino da muovere. Se non riuscirà a fare politica, se rimarrà imprigionato nel suo vestito da Tecnocrate, per Macron ci sarà una sola strada, le dimissioni, riportando nel caos divisivo una Francia ed un’Europa stanca.