
“Questo ministro è tornato a parlare della riforma della giustizia nei giorni scorsi in una masseria in Puglia, dopo le ore 17, ma qualcuno si era dimenticato di togliere il vino da quel posto”. Non ha usato mezzi termini Lirio Abbate, il giornalista-scrittore invitato lo scorso martedì a Viterbo per presentare il suo ultimo libro “Demoni” (Rizzoli), 254 pagine di ricostruzione – allo stato attuale – sulla penetrazione e sul controllo delle mafie italiane e straniere sulla capitale d’Italia.
La prima presentazione del libro uscito il 9 luglio a Ombre festival ha coinciso con l’annuncio di nuovi arresti per l’inchiesta sul fronte del riciclaggio dei capitali delle organizzazioni criminali attive su Roma e dintorni, con i fermi dei figli di Enrico Nicoletti (già cassiere della banda della Magliana) e di Michele Senese, ritenuto il primo riferimento per chiunque si muova tra le attività illegali che si spalmano sulla città eterna. Traffici che alimentano la corruzione e inquinano “ogni sano principio di vita civile e sociale, oltre a colpire ogni tipo di attività imprenditoriale sana, quella che si muove lungo i binari della legalità”.

Abbate nei “Demoni” ricostruisce, attraverso l’analisi di molte inchieste condotte principalmente dai pm della Direzione distrettuale antimafia, il ventaglio di reati ascrivibili alle varie mafie che prosperano a Roma: omicidi, ferimenti, estorsioni, agguati, minacce, traffico e spaccio di stupefacenti, di armi, riciclaggio dei proventi illegali. E la corruzione a vari livelli che accompagna ognuna di queste attività. “Sono i dati a parlare. Oggi Roma – spiega il giornalista di Repubblica – è il crocevia del traffico di droga per tutta Italia. Il mercato è enorme, non ha eguali e le piazze di spaccio della Capitale hanno un volume di affari superiore a quelle di Napoli. A Torbellamonaca si può arrivare a ricavi dalla vendita di droga per 10 milioni di euro al mese, che nemmeno a Scampia si raggiungono”.
Tutto questo movimento di capitali “sporchi” genera un enorme interesse da parte di ogni gruppo criminale strutturato, con ‘ndrangheta e camorra a dettare il gioco, “ma anche da parte di altri soggetti e bande presenti su Roma che vogliono ritagliarsi uno spazio e spartirsi quell’enorme mole di denaro”, rileva Abbate. Per sedersi a quel tavolo bisogna sgomitare e affermarsi agli occhi di chi tiene i fili, “ma questo può generare attriti, scontri e guerre tra bande. Tra chi ha cercato di accreditarsi come figura di primo piano nella malavita romana c’è stato Fabrizio Piscitelli, ammazzato proprio per dare il segnale a tutti che non ci si può ‘allargare’ pestando i piedi a chi gestisce il gioco. Tra chi invece non esita a sparare per guadagnare credibilità criminale, generando paura, ci sono gli albanesi. Abilissimi nel traffico internazionale di stupefacenti, vogliono ora affermarsi come soggetti autonomi sulla piazza per non dover condivere i ricavi dello spaccio con camorra e ‘ndrangheta. E’ possibile che questo generi uno scontro dagli esiti imprevedibili”

Il libro ripercorre tutto il percorso che ha portato alla sentenza di morte per Diabolik, capo ultrà laziale che pure – dicono le indagini – era cresciuto con la benedizione del clan Senese “e dal quale è stato fermato per aver voluto affermarsi come uno dei nuovi capi sul panorama della Capitale. Omicidio che ha portato poi a una serie di azioni criminali e di tentate vendette che hanno aperto altri fronti di inchiesta, in gran parte riconducibili a precedenti ipotesi investigative”. Attività emerse, come da un vaso di Pandora, dopo che le magistrature di Francia e Belgio nel 2022 sono riuscite a violare la piattaforma di comunicazioni criptate SkyEcc, utilizzata anche dal terrorismo internazionale.
Da SkyEcc è emersa “una mole infinita di intercettazioni che riguardavano proprio l’Italia e che sono state fornite ai nostri magistrati. I quali hanno così potuto ricostruire centinaia di conversazioni in cui si parlava di omicidi, di acquisto di quintali di droga dall’estero, di movimenti di armi, di progetti per colpire qualcuno o per assumere il controllo di un’attività legale”, ha riportato Abbate nel libro. Capitolo intercettazioni dunque: si arriva alla riforma della giustizia promossa dal ministro Carlo Nordio che punta a limitarle, soprattutto come strumento di acquisizione di informazioni. Per Abbate niente di più che un tentativo di nascondere i veri problemi del funzionamento della giustizia in Italia con uno spot elettorale.
“Ma di fronte a quanto sono in grado di essere pervasive nella nostra vita le organizzazioni criminali, come si può pensare di rispondere – si accalora Abbate – limitando le intercettazioni per tutelare gli indagati? Che non sono solo quelle telefoniche, sia chiaro, ma soprattutto ambientali e con i trojan sui dispositivi cellulari. Per non parlare poi dei tempi di risposta dei tribunali a cittadini e imprese che denunciano per avere giustizia di fronte a minacce, diritti negati, crediti non saldati e cause di lavoro. Abbiamo processi che durano 5-6-7 anni e Nordio risponde a tutto questo con la separazione delle carriere dei magistrati?”. Per il giornalista, che dal 2007 deve muoversi scortato dalle forze dell’ordine per un attentato ai suoi danni progettato dalla mafia in Sicilia, “non è questo il modo giusto per risolvere i veri problemi del malfunzionamento della nostra giustizia. Per un governo come quello della Meloni non è così che ci si pone, con autorità e forza, contro il malaffare che inquina società civile e attività politica”.