Tecnicamente, si tratta di un procedimento di rimozione di alcuni geni – che favoriscono l’invecchiamento – dal patrimonio di cui siamo dotati naturalmente. Da un punto di vista personale, filosofico e sociale saremmo a un punto di svolta capace di rivoluzionare la vita degli esseri umani (forse non di tutti, poi vedremo il perché). Questa clamorosa novità in campo sanitario è frutto del lavoro di un team di esperti che, una volta messa alla prova la loro ricerca sperimentandola sui topi, hanno ottenuto un risultato straordinario. La durata della vita degli animaletti sottoposti al trattamento, infatti, è aumentata del 25%. Un passo importantissimo per comprendere meglio i meccanismi dell’invecchiamento e, di conseguenza, per riuscire se non a bloccarli, almeno a rallentarli. Non è la fonte dell’eterna giovinezza, ma di sicuro somiglia all’elisir di lunga vita che da sempre popola le fantasie dell’umanità. Solo che ora non si tratta più di fantasie, ma di realtà scientifica. E riguarda piccole proteine che nel nostro corpo hanno la funzione di coordinare la risposta del nostro sistema immunitario all’insorgere di malattie e infiammazioni: le citochine.
Una di esse, la chitochina IL-11, è stata osservata come un fattore che favorisce le infiammazioni e, come hanno scoperto i ricercatori, che hanno pubblicato un articolo riguardo al loro studio sulla rivista Nature, riveste un ruolo cruciale nel processo di invecchiamento. Il livello della IL-11, infatti, aumenta con l’avanzare dell’età attraverso vari tipi di cellule e tessuti. Gli studiosi hanno rilevato questo aumento nei topi anziani e si sono domandati se, eliminando il gene o il suo recettore, fosse possibile rallentare il processo di invecchiamento. E la sperimentazione sul campo ha dimostrato che i topi di 75 settimane, sottoposti a un trattamento di 25 settimane che contrasta l’aumento della chitochina incriminata, hanno registrato un miglioramento del metabolismo, delle funzioni muscolari e una riduzione dei biomarcatori dell’invecchiamento. In parole povere, il trattamento ha aumentato la vita dei topi di entrambi i sessi: del 22,5% nei maschi e del 25% nelle femmine. E’ ancora presto per la sperimentaziones ull’uomo, ma se applicassimo gli stessi criteri alla vita degli esseri umani ci sarebbe la teorica possibilità di allungare la durata dell’esistenza delle persone oltre i 100 anni. E, soprattutto, di mantenere il corpo “giovane” sino a un’età molto avanzata.
E’ ancora presto per parlare dell’applicazione di queste cure sull’uomo, ma la sperimentazione sui topi dimostra – e non è cosa da poco – che esiste la possibilità di modificare l’aspettativa di vita e la sua qualità nei mammiferi complessi. Questo perché l’invecchiamento è un processo complesso influenzato da molti fattori, tra cui l’infiammazione cronica e il progressivo malfunzionamento del sistema immunitario. Ci vorrà ancora tempo e le ricerche, per arrivare all’applicazione della terapia sull’uomo, dovranno andare avanti ancora per un bel po’. I risultati ottenuti dai ricercatori suggeriscono infatti che modificare l’infiammazione cronica che si verifica da una certa età in poi può influenzare la longevità dei mammiferi. Restano due domande: in un mondo già oberato dai problemi legati all’invecchiamento della popolazione, come si potrebbe raggiungere una ragionevole sostenibilità se le nostre vite si allungassero ulteriormente? E, soprattutto, questi trattamenti sarebbero “democratici”, cioè verrebbero messi a disposizione della popolazione, oppure finirebbero per diventare un progetto utile solo a una categoria di privilegiati? Conoscendo gli esseri umani, il dubbio è più che lecito.