Imane Kahlif, il pugile “intersex”, avrebbe dovuto affrontare la nostra Angela Carini sul ring del pugilato alle Olimpiadi. Ma Carini si è ritirata dopo pochi secondi, in lacrime, dopo aver subito un colpo terrificante e aver mormorato “mi ha fatto malissimo”. Angela ha fatto bene. Anzi, non avrebbe nemmeno dovuto salirci su quel ring, come tutte le altre atlete destinate al massacro. Kahlif era stato escluso dai Campionati Mondiali femminili di boxe per un motivo molto semplice. I suoi cromosomi sono X e Y, quindi maschili. Con buona pace di Luxuria, Kahlif è biologicamente un uomo. D’altronde è sufficiente un’occhiata alla sua struttura fisica per vedere come non sia quella di un’atleta donna. Da qui sono nate le polemiche sulla sua partecipazione ai Giochi di Parigi. Un problema che non riguarda solo i risultati sportivi. Ma la sicurezza e l’incolumità delle atlete che dovranno affrontare un avversario con una densità ossea e una struttura muscolare diversa da quella femminile. Una differenza, come insegna la scienza, molto marcata. Basti pensare che le misurazioni medie danno la potenza di un pugno maschile superiore del 162% a quello di una donna. Non a caso, l’atleta messicana sconfitta da Imane al primo turno ne è uscita con il volto tumefatto e ha dichiarato di “non avere mai subito colpi così violenti” in tutta la sua carriera.
In un caso molto simile a quello di Imane, che riguardava l’atleta sudafricana Caster Semenya, si è giunti alla decisione di escluderla dalle competizioni dopo che ai Mondiali di Berlino aveva stravinto la finale femminile degli 800 metri con mezza pista di vantaggio. Ora, non si tratta di una questione di inclusione, esclusione, sessismo o quant’altro. Ma di semplice buonsenso. Se una persona (nel caso di Semenya si parla della sindrome di Morris, che a fronte di una struttura fisica maschile per la presenza del cromosoma Y favorisce lo sviluppo di organi genitali femminili) ha una densità ossea e una muscolatura da uomo, come si può pensare che sia equo farla competere con chi invece ha una struttura femminile? Qui si tratta di logica elementare, quella che la cultura Woke ignora in nome di una non meglio definita “inclusività”. Che già genera difformità evidenti nell’atletica, ma che diventa molto pericolosa nel caso di sport di contatto e di combattimento. Ci chiediamo, anche leggendo le dichiarazioni della pugilessa messicana e dopo il ritiro dela nostra Carini, se si aspetti che avvenga una tragedia per capire la vera natura del problema. Andrea Zhok, professore associato di filosofia morale all’Università Statale di Milano, lo ha scritto molto chiaramente.
“Imane Kahlif rimane biologicamente un uomo, in quanto l’analisi del DNA a riportato la presenza di cromosomi XY. La differenza biologica fra chi ha avuto una crescita e pubertà maschile e pubertà femminile è molto marcata. La densità ossea è maggiore nei maschi, il che ha due implicazioni: conferisce maggiore resistenza alle percosse e, dipendendo la potenza di una percossa da massa per velocità, l’incremento della massa ossea conferisce maggiore potenza al colpo. Ed è ovvio che mettere su un ring un atleta geneticamente maschio cotro un’atleta geneticamente femmina è una grave scorrettezza… con potenziali, rilevanti rischi fisici“. Zhok si chiede “come si può essere arrivati a questo punto?”. L’ideologia che vorrebbe il superamento di non meglio definite differenze, secondo il professore, è iniziata negli Anni 70, e ora si è trasformata in “una curiosa forma di idealismo, che inizia in sempre maggior misura a negare la realtà come se si trattasse di un improvvido accidente, qualcosa che dovrebbe essere superato di principio dall’autoaffermazione volontaria… la prima mossa sancisce la superiorità delle pretese idealistiche a una sorta di Io assoluto che può, anzi deve imporsi sulla materia (sulla biologia, ma anche sulla realtà sociale). La seconda mette al sicuro dalle confutazioni le pretese di questo Io Assoluto, isolandolo dalle critiche, attraverso una loro delegittimazione a priori (come omofobe, sessiste, retrograde ecc.). Cosa resta fuori da questo cerchio splendidamente autoreferenziale? Nulla, salvo la realtà, che anche se i suoi campioni sono stati silenziati, rimane testardamente in piedi. E la realtà”, conclude Zhok, “finirà per fare giustizia di questo delirio culturale“.