Si torna a parlare dell’11 Settembre e dell’attentato alle Torri Gemelle, che segnò un passaggio indelebile per la storia del mondo contemporaneo. Sull’attacco che rase al suolo i due edifici simbolo di New York si è detto e scritto di tutto, si sono imbastite teorie del complotto di ogni genere, ma anche molti commentatori più moderati – senza cadere in certi eccessi – hanno messo in discussione la trasparenza delle informazioni rilasciate in seguito dalle autorità. A far discutere nuovamente su quel drammatico giorno, sono nuove rivelazioni che potrebbero portare a revisionare ciò che sappiamo dell’attentato più sanguinario della storia moderna. A riferirlo è Massimo Basile in un articolo sul sito di Repubblica. “Il disegno di un aereo. Una formula matematica. E l’oscuro dipendente di una compagnia aerea saudita in California”, scrive il giornalista. “Ventitrè anni dopo l’attacco terroristico dell’11 Settembre, emergono nuove prove che potrebbero riscrivere la storia degli attentati che provocarono negli Stati Uniti tremila morti e chiamare in causa il governo saudita. E seminano inquietanti dubbi sul perché prove trovate dall’intelligence britannica e consegnate all’Fbi vennero tenute segrete”.
Il nuovo mistero su quel giorno terribile è emerso nel corso di un processo intentato a Manhattan dai familiari delle vittime. E vede al centro delle indagini la figura di un dipendente saudita che al tempo lavorava alle dipendenze di una compagnia aerea del suo Paese a San Diego. Omar al-Bayoumi, infatti, potrebbe aver avuto un ruolo importante nell’organizzazione degli attentati. Tanto che 10 giorni dopo l’11 Settembre la Polizia britannica fece irruzione nell’abitazione inglese di Al-Bayoumi, che era sospettato di avere incontrato a Los Angeles, a inizio 2000, due membri di Al Qaeda. “Tra gli oggetti sequestrati durante il blitz”, scive Basile, “lo schizzo di un aereo fatto con inchiostro blu, su cui Al-Bayoumi aveva scritto un’equazione matematica”. Tutto il materiale fu consegnato dall’Intelligence inglese all’Fbi. Ma solo 10 anni dopo l’equazione fu interpretata: era stata scritta per calcolare “a quale velocità sarebbe sceso un aereo in modo da colpire un obiettivo all’orizzonte”. Per motivi ignoti, la Commissione che indagava sull’attentato non venne mai informata. Nel 2021 Al-Bayoumi aveva ammesso la paternità del disegno. Lo si è saputo solo la settimana scorsa durante un’udienza del processo di New York.
Perché quelle prove, decisamente importanti, sono state “tenute segrete” per così tanto tempo? E’ questa la domanda che emerge dal procedimento in corso. “Nessuno degli elementi trovati prova il coinvolgimento diretto del governo saudita”, scrive Repubblica, “anche se Al-Bayoumi, secondo documenti dell’Fbi del 2017, risultava un agente non ufficiale al servizio dell’intelligence saudita“. Il capo della Cia nel momento degli attacchi, George Tenet, ha ammesso che le nuove prove emerse durante il processo di Manhattan richiedono un approfondimento. “Le famiglie dell’11 Settembre non meritano niente di meno“, ha dichiarato. Ma a fornire chiarimenti sull’intera vicenda dovrebbe essere proprio il dipendente saudita sospettato. Solo che Al-Bayoumi, come conclude Basile, “nonostante le prove emerse a suo carico, dopo essere stato arrestato e interrogato dalle autorità britanniche nel 2001 tornò in Arabia, e da allora non si è più mosso”.