Il “caso Sinner“, con la positività al doping rilevata durante in torneo di Indian Wells, ha innescato inevitabii polemiche nel mondo. La visibilità del numero uno delle classifiche Atp, d’altronde, porta con sé vantaggi e svantaggi. Un attacco molto duro contro il nostro tennista è arrivato dal quotidiano inglese Telegraph. “Perché il risultato positivo dei suoi esami è rimasto nascosto e le carriere di altri tennisti (poi risultati innocenti) sono state rovinate?”, si chiede il giornale inglese. Per concludere che “l’assoluzione dell’italiano solleva la questione se ci sia una regola per le superstar dello sport e un’altra per i giocatori di rango inferiore”. Una domanda che può starci, ma che suona falsamente ingenua. Perché a ben guardare la giustizia, che ci piaccia o no, funziona così per tutti e non solo nel tennis e nello sport: chi si può permettere avvocati migliori ha anche una difesa migliore. E forse la domanda andrebbe modificata: perché rovinare la carriera di tennisti poi risultati innocenti invece di intervenire dopo che sia accertata la loro colpevolezza? Punire Jannik per qualcosa che non ha fatto, essendo stato pienamente scagionato, sarebbe stata una soluzione?
Anche perché la positività per un solo miliardesimo di grammo di Cistebol, lo steroide trovato nelle sue analisi, non indica sicuramente la ricerca di un vantaggio nelle prestazioni sportive. Il Telegraph sottolinea come gli atleti siano ritenuti responsabili di ciò che viene rilevato dalle procedure antidoping anche se le concentrazioni di sostanze vietate, come in questo caso, sono infinitesimali. E infatti a Sinner, come da regolamento, per l’imperizia di un membro del suo staff sono stati tolti i punti guadagnati con i quarti di finale di Indian Wells e anche il montepremi vinto di 300.000 dollari. Una punizione piuttosto severa, una volta che la difesa del tennista azzurro è stata ritenuta plausibile dalla federazione e dagli esperti chiamati ad analizzare il caso. Ma il giornale inglese non contesta questo, quanto la disparità di trattamento riservata ad altri tennisti. Citando l’esempio dell’atleta inglese Sara Moore, fermata per 19 mesi e poi scagionata perché le sostanze trovate nel suo corpo erano state assorbite attraverso il consumo di carne trattata con gli steroidi durante un torneo in Bolivia. “Non è giusto”, ha affermato l’ex tennista britannico Liam Brody. “Molti giocatori passano attraverso la stessa cosa e devono aspettare mesi o anni per dichiarare la loro innocenza. Non una bella figura (per l’antidoping, ndr)”.
Ma qui sta il problema. Se un sistema punisce ingiustamente un atleta, la battaglia da fare sarebbe un’altra. Cioè impedire che ciò accada, non punire tutti gli innocenti insieme ai colpevoli, in modo da non rovinare loro la carriera. “Sinner, grazie alla sua possibilità di ingaggiare i migliori avvocati, è stato il destinatario di un trattamento preferenziale?”, ha scritto ancora il Telegraph. “E come può un processo essere così opaco da silenziare i risultati dei suoi test, ma non quelli di tennisti meno famosi? Il fatto che Sinner abbia goduto di un percorso meno spigoloso acuisce solo l’impressione del tennis come sport a due livelli“. Una considerazione comprensibile ma un po’ ipocrita, visto che una differenza di trattamento e visibilità fra i grandi campioni più affermati e i giocatori meno conosciuti esiste in qualsiasi sport. Se si vuole maggiore equità, bisogna chiedere regole di buon senso uguali per tutti, questo sì. Non attaccando Sinner, ma facendo in modo che chi non è stato ancora giudicato, colpevole o innocente che sia, non finisca nella gogna mediatica prima che si siano accertati i fatti. Ma i giornalisti in quel caso sarebbero disposti a mantenere la riservatezza, a partire da quelli inglesi? Qualche dubbio lo abbiamo.