Antonio Di Pietro, volto e simbolo di “Mani Pulite” ha sorpreso tutti con una dichiarazione che ha fatto strabuzzare gli occhi a più di qualcuno: “Solidarietà ad Arianna Meloni, è finita nel tritacarne mediatico-giudiziario proprio come me”. Di Pietro spiega in un’intervista a Libero cosa c’è davvero dietro l’inchiesta che vede coinvolta la sorella della premier. “Arianna Meloni va giudicata per quel che è lei, non perché è la sorella del presidente del Consiglio. Viene messa nell’occhio del ciclone per arrivare a Giorgia Meloni ed è una criminalizzazione ingiustificata. Stabilito questo principio, Arianna Meloni è un dirigente di partito. Non so se abbia partecipato o meno a nomine, ma io chiedo: perché mai un dirigente non dovrebbe partecipare a scelte di cui deve farsi carico il suo partito? Le nomine istituzionali sono sempre state fatte su base partitica”.
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“Io ho espresso solidarietà ad Arianna Meloni – dice Di Pietro – in quanto viene usata strumentalmente per attaccare la sorella. Se volete criticarla, criticatela per quel che ha fatto lei. È capitato anche a me: io mi ero permesso di dire che mia moglie non era mia moglie, ma un avvocato. E i giornali titolarono ‘Di Pietro ripudia la moglie’. No, giudicate mia moglie nel suo ruolo e funzione, non perché mia moglie”. Nel merito della questione la Procura ha detto: “Non stiamo indagando su Arianna Meloni”. Di Pietro allora prende di petto il PD: “Non condivido quello che sta facendo il Partito comunista. Scusi il lapsus, il Partito democratico. Per bocca del suo responsabile giustizia Debora Serracchiani ha chiesto al ministro una informativa in Parlamento, ancora una volta vogliamo buttarla in politica? No, va affrontata nella sede opportuna, quella giudiziaria, e aspettando i tempi tecnici necessari, per accertare se c’è o meno una attività investigativa di questo tipo”.
Chiede Claudio Brigliadori a Di Pietro: “Un magistrato può fermare la politica?”. Risposta dell’ex pm: “Non va fatta una generalizzazione ma valutato caso per caso. Il magistrato che accende il motore e scopre dei fatti, cerca l’autore di un reato commesso. E se quell’autore è un politico non è colpa del magistrato. È innegabile però che qualche magistrato possa innamorarsi della sua tesi e portarla avanti a oltranza. Ecco perché bisogna dividere i ruoli”.