Una Nazione intera si sta chiedendo perché Lorenzo Chiaroni, 17 anni, un ragazzo apparentemente normale, bravo a scuola e con interessi sportivi sia arrivato al punto di massacrare la sua famiglia. Iniziando, con inaudita ferocia, dal fratellino 12enne, per poi infierire sulla madre e sul padre. Probabilmente non esiste una risposta valida al 100% in casi di questo genere. Per capire se si è di fronte a una psicopatologia emersa all’improvviso, bisognerà aspettare l’esito delle perizie e delle indagini. Intanto, però, gli psicologi cercano di offrire qualche appiglio a un’opinione pubblica sconcertata. Perché a differenza di altri casi avvenuti in passato, qui non ci sono di mezzo i soldi, le violenze subite, insanabili e protratti contrasti familiari. E di fronte a questo vuoto la mente si perde. “Mi sentivo un corpo estraneo nella mia famiglia”, ha detto l’assassino, “Ho pensato che uccidendoli tutti mi sarei liberato di questo disagio”. Secondo quanto dichiarato a Il Giorno dallo psicoterapeuta Giuseppe Lavenia, presidente dell’Associazione nazionale dipendenze tecnologiche, gap e cyberbullismo, le parole di Lorenzo svelano “un dramma interiore profondo, in cui l’incapacità di gestire la rabbia e la frustrazione si è trasformata in un detonatore letale“.
Incapacità di gestire le emozioni e di reperire in se stessi gli strumenti adeguati per affrontare il conflitto interiore che ne deriva. Può essere un primo passo per cercare di dare una cornice a una tragedia che di logico non sembra avere nulla. Ma non può bastare. “Questa situazione denuncia anche qualcosa di più grave“, spiega Lavenia. “La presenza di una mente profondamente disturbata, incapace di distinguere tra realtà e percezione distorta della stessa. Il ragazzo non solo non è stato capace di gestire la frustrazione, ma è stato anche vittima di un disturbo psichiatrico profondo, incapace di elaborare la realtà in modo sano”. L’esperto mette l’accento su un particolare di cui pochi hanno sinora parlato: “La sua mancanza di rimorso e l’assenza di una richiesta di perdono non sono solo segni di freddezza, ma indicano un vuoto emotivo spaventoso che ha trasformato la sofferenza in violenza”. Lavenia spiega quindi che “dobbiamo fermarci a riflettere sul ruolo centrale dell’educazione emotiva. Troppo spesso le famiglie si soffermano sul benessere materiale, trascurando l’importanza di insegnare ai figli come gestire la rabbia, la frustrazione e il dolore“. In assenza di questo, “il pericolo non proviene dall’esterno, ma nasce dentro le mura domestiche, nelle emozioni non elaborate e nelle dinamiche familiari irrisolte”. Considerazioni che, di fronte a un fatto così abnorme, di certo non bastano a spiegare tutto, ma che hanno il pregio di iniziare un percorso utile soprattutto ai genitori.
Nella nostra epoca si cerca di costruire una cornice psicologica a qualsiasi avvenimento, ma ci sono anche eventi talmente estremi da non poter essere ridotti a una categoria. Tutti, prima o poi, nella vita familiare devono affrontare qualche contrasto. Ma quasi nessuno, per fortuna, diventa violento o stermina i familiari per questo. Soprattutto pianificando di colpirli alla gola per non farli urlare, come sarebbe emerso dalle prime ricostruzioni. I Carabinieri che per primi sono accorsi hanno detto che Lorenzo era “lucido“. Lo psicologo sottolinea come sempre più spesso, dal lavoro suo e dei suoi colleghi e anche dai fatti di cronaca, emergano “ragazzi che faticano enormemente a esprimere gli aspetti emotivi, i conflitti e i sentimenti più disturbanti relativi al proprio contesto familiare e amicale in qualche cosa che diventi simbolo, parola, condivisione. La relazione viene annullata e si ricorre al gesto disperato“. Nel caso di Paderno, “bisognerà attendere le perizie e tutti gli accertamenti della Procura e del Tribunale minorile. Senza dubbio ci troviamo di fronte a un disagio e a un dolore mentale che, però, non necessariamente possiamo subito attribuire a una psicopatologia”. Lavenia, dopo aver sottolineato come l’uso di armi da taglio fra i giovani sia sempre più diffuso, ha spiegato che gli adulti possono “trasformare questa terribile vicenda in un’occasione di sviluppo, crescita e possibilità di mettere in parola. Quando si consente a un adolescente di verbalizzare il proprio stato d’animo, non vuol dire che gli si dà ragione solo perché lo si ascolta. Vuol dire che gli si dà legittimità di pensiero e di parola, qualunque essi siano”. Ma forse non è giusto fermarsi solo all’ambito familiare. Forse è tutto il contesto, esasperatamente tecnologico, materialista e socialmente arido che caratterizza la nostra cultura a dover essere messo in discussione.