Giorgia esordì in televisione da neo incaricata Premier, prima donna della storia italiana, con una frase: “Non sono ricattabile”.
Questa era la discriminante rispetto ad altre stagioni. L’assunto era non avendo mai gestito nulla non ho scheletri nell’armadio, pertanto non sono ricattabile. Una frase populista che può piacere a una moltitudine indistinta. Diciamo che, frase a parte, nemmeno i 5stelle allora lo erano, nemmeno loro avevano mai governato, erano, ancora più della Meloni, giovane ministra del governo Berlusconi, fuori dal sistema, che in Italia, ma anche da altre parti, richiama, consorterie, scambi, situazioni umbratili se non ombrose.
Lei no. Non era ricattabile. Ma questo è un merito sufficiente? Per i 5stelle di Di Maio, e poi Conte, non è bastato. Rumor, grande vecchio doroteo della Prima Repubblica, diceva che se non sei ricattabile non sei affidabile, una frase cinica che però aveva un senso. Non c’è niente di più pericoloso per un sistema, qualunque esso sia, di una persona a cui non possono essere messe le briglie del convincimento, e, se non basta, da altre coercizioni, il ricatto appunto. Giorgia tutta Dio, patria e famiglia ha sacrificato molto su questo tema della non ricattabilità, a mezzo social ha terminato la sua relazione con Giambruno, padre di sua figlia, per non esporsi a ricatti mediatici, idem, forse, ha fatto sua sorella Arianna, dando le immagini di due vestali del sacro altare della politica.
Ma il resto del governo, visto che la Meloni ancora non ha il titolo di Regina, è al riparo dal ricatto? Crosetto spiato da finanzieri, Santanché sotto spada di Damocle, Del Mastro che è il nuovo Toninelli, ora la sceneggiata napoletana di Gennaro, Sangiuliano, e la “Malafemmena” Boccia, con tanto di lacrimoni degni di Un posto al sole.
Un tradimento familiare, con tanto di scuse alle donne che ha offeso, la moglie, e soprattutto Giorgia, che Totò, napoletano più di mondo, avrebbe derubricato a pinzellacchere, se non fosse che la Malafemmena è tosta, e ai tempi di De Curtis non c’erano i social, gli audio WhatsApp, gli occhiali con telecamera ed altre diavolerie capaci di mandare tonnellate di merda sul ventilatore per follower vouyeristici.
Ma perché Giorgia non ha licenziato un ministro onestamente inadeguato come Sangiuliano? Lo ha fatto con il compagno perché Genny il Bello invece no?
Perché l’ascesa di Giorgia è paragonabile, in piccolo, a quella di un altro innovatore della Storia, quella con la S maiuscola, Alessandro Magno. Il potere di Alessandro si fondava sulla falange macedone: finché la falange era compatta i nemici, per quanto soverchianti, non sfondavano, e Alessandro conquistava regni e territori, poi le orgie del potere frantumarono la saldezza del gruppo, e l’impero macedone si sfaldò.
Con i necessari distinguo anche Giorgia ha conquistato il potere grazie ad una falange compatta, tenuta salda e coesa dallo spazio dell’opposizione. Oggi invece la falange si è sparpagliata ad occupare comode posizioni foriere di privilegi e, scopriamo, di mollezze muliebri. Se Giorgia molla senza difesa gli accoliti falangisti ormai spaparanzati tra poltrone e scranni, e non più con aste e scudi, il rischio è che venga giù tutta questa impalcatura tenuta insieme dal potere. Capita sempre così ai Barbari fuori dal sistema. Vandali, Unni, Longobardi conquistata una vittoria si imborghesiscono assumendo tutti i vizi del potere. Il potere è una bestia da mangiare a poco a poco, lo sapevano i sapienti ruminatori democristiani, e va esercitato con judicio, e senza Rumor.
Una massima del potere siciliano dice che comandare è meglio che fottere, ma Sangiuliano voleva fare entrambe le cose.