Forse è anche la difficoltà degli Stati europei nel far quadrare i conti ad aver accelerato il percorso che mette nel mirino i giganti della tecnologia, da tempo al centro dell’attenzione per le condizioni fiscali agevolate di cui possono godere. A farne le spese, per motivi diversi, sono due colossi come Google e Apple. La Corte di Giustizia della Ue ha infatti confermato la maxi multa da 2,4 miliardi di Euro ai danni di Google per “aver abusato della sua posizione dominante sul mercato” e per aver “favorito il proprio servizio di comparazione dei prodotti”.
LA DECISONE DELLA CORTE
La Corte ha così deciso di respingere il ricorso presentato dalla multinazionale delle ricerche online. La Commissione aveva sottolineato come Google avesse “privilegiato, sulla sua pagina di risultati di ricerca generale, i risultati del proprio comparatore di prodotti rispetto a quelle di comparatori di prodotti concorrenti”.
Ma anche peggio è andata ad Apple. I giudici del Lussemburgo hanno confermato un pronunciamento della Commissione Europea risalente al 2016, secondo il quale l’Irlanda aveva concesso vantaggi fiscali illegali al colosso dell’informatica per un totale di 13 miliardi di Euro. Tasse arretrate che ora Apple dovrà corrispondere al Paese britannico.
Come riportato dal Giornale d’Italia, la vicenda fa riferimento a due “ruling fiscali” preventivi concessi dal governo irlandese a favore di due società del gruppo Apple, costituite come società di diritto irlandese ma non residenti fiscalmente in Irlanda. La Comissione europea, spiega l’editoriale del quotidiano Web, ha motivato la sua decisione con il fatto che “le sedi di tali società erano situate al di fuori dell’Irlanda, e che la gestione di tali licenze dipendeva da decisioni adottate a livello del gruppo Apple negli Stati Uniti“.
Nel 2021 il Tribunale dell’Unione Europea, dopo la contestazione degli interessati, aveva respinto un primo ricorso delle due multinazionali, confermando l’ammenda. Ma aveva ritenuto che non fosse dimostrato l’effetto anti concorrenziale delle pratiche di Google. La società che gestisce il motore di ricerca aveva quindi presentato un’impugnazione alla corte, chiedendo che la multa fosse annullata. Ma la Corte Europea ha rigettato nuovamente il ricorso, stabilendo che “il comportamento di Google era discriminatorio nell’ambito della concorrenza basata sui meriti”.