Il dibattito che ruota attorno alla nomina di Raffaele Fitto come commissario europeo offre uno spunto per riflettere sulle complesse dinamiche tra Italia e Unione Europea. Alla luce degli ultimi sviluppi, è lecito chiedersi: è possibile che un ministro, o un suo equivalente a livello europeo, si opponga alla maggioranza parlamentare che sostiene il governo? La risposta è semplice: no. È impensabile che una figura di vertice politico possa agire in dissonanza con le forze che, di fatto, ne garantiscono l’esistenza.
Secondo i Trattati dell’Unione Europea, i commissari vengono scelti dai governi nazionali, uno per ogni Paese membro. Si tratta di una procedura che risale al passato “intergovernativo” della UE, quando le dinamiche erano più diplomatiche che politiche. Oggi, però, il quadro è cambiato radicalmente. Le istituzioni europee sono sempre più influenzate da giochi politici, ed è proprio l’emersione delle forze antieuropeiste che ha accentuato il carattere politico del Parlamento Europeo. Di conseguenza, la scelta di un governo nazionale deve necessariamente tenere conto di questi equilibri.
In questo contesto, la posizione della presidente Meloni e di Fratelli d’Italia risulta emblematica. Nonostante abbiano scelto di non votare la fiducia al governo von der Leyen, oggi pretendono non solo di avere un commissario, come è legittimo secondo i Trattati, ma anche che questo commissario ricopra un ruolo di peso. Tuttavia, le forze politiche della maggioranza parlamentare europea non possono ignorare l’opposizione di Meloni e chiedono giustamente conto delle sue scelte.
L’espressione “non si può avere la botte piena e Fitto ubriaco” sintetizza perfettamente il punto: non si può stare all’opposizione e pretendere al contempo un’influenza significativa nelle istituzioni. E in un momento storico delicato, con la guerra alle porte dell’Unione, le questioni politiche prevalgono sulle logiche consociative.
Come uscire dall’impasse? La soluzione è a nostro parere chiara: abbandonare le tentazioni sovraniste e allinearsi politicamente con la maggioranza europea. Solo in questo modo la candidatura di Fitto potrebbe essere accolta con favore. Del resto, non si parla di una figura pericolosa o destabilizzante, ma di un politico navigato che potrebbe contribuire alla stabilità delle istituzioni europee. Al contrario, se Meloni decidesse di mantenere una posizione rigida, rischierebbe una pesante bocciatura, con conseguenze non solo per il governo italiano, ma per il prestigio dell’intero Paese.
In definitiva, questa vicenda dimostra quanto la politica ormai conti in Europa, e questo è un segnale positivo. L’Unione Europea non è più un terreno paludato di diplomazia e burocrazia, ma un’arena politica in cui le scelte e le alleanze hanno un peso determinante. Spetta ora al governo italiano decidere se partecipare pienamente a questo gioco o restarne ai margini, con tutti i rischi che ciò comporta.