Il suicidio assistito torna al centro del dibattito italiano, segnando un nuovo autunno 2024 di sconfitte per chi chiede una legge chiara e definitiva. Malati terminali e persone con gravissime disabilità continuano a intraprendere un “pellegrinaggio del dolore” verso la Svizzera, unico luogo dove possono ottenere il diritto a morire con dignità, o rimangono a combattere nelle aule dei tribunali italiani per far valere la loro libertà di scelta sul fine vita.
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La sentenza della Corte Costituzionale e l’inerzia politica
Nel 2019, la Corte Costituzionale con la sentenza sul caso Dj Fabo aveva definito le possibilità e i limiti del suicidio assistito, rendendolo legale in Italia in assenza di una legge. Tuttavia, la mancanza di una normativa chiara ha lasciato il Paese in uno stato di stallo. Un’ulteriore sentenza della Consulta del 18 luglio scorso ribadiva l’urgenza di legiferare, ma la politica continua a rimandare. Il disegno di legge presentato dal senatore del Pd Alfredo Bazoli avrebbe dovuto essere discusso il 17 settembre 2024. Tuttavia, le commissioni Sanità e Giustizia non hanno quasi mai esaminato il testo, portando a un ennesimo rinvio. La destra, con un atteggiamento dilatorio, ha chiesto una serie di audizioni – ben novanta – coinvolgendo soggetti lontani dal merito della questione, molti dei quali appartenenti a organizzazioni cattoliche.
Ostruzionismo e strategie politiche
L’ostruzionismo della maggioranza, composta da Lega e Fratelli d’Italia, sostenitori delle posizioni Pro Life, mira a dilatare i tempi, ignorando l’urgenza e le indicazioni della Corte Costituzionale. Anche Forza Italia, tramite il suo leader Antonio Tajani, ha chiarito che le priorità politiche sono altre, come la legge di bilancio. Di fatto, chi si oppone alla legge dovrebbe smentire le indicazioni già fornite dalla Consulta, che permette il suicidio assistito con il supporto del servizio sanitario nazionale per i casi che soddisfano i requisiti stabiliti. Tuttavia, ottenere tale diritto è ancora un percorso accidentato e irto di ostacoli.
Storie di sofferenza e battaglie legali
I casi di Federico Carboni (“Mario”), Anna e Gloria, supportati dall’Associazione Luca Coscioni, dimostrano quanto sia difficile ottenere il diritto al suicidio assistito. La storia di Sibilla Barbieri, morta in Svizzera nel novembre 2023, racconta di una battaglia persa in Italia, dove la ASL le ha negato l’accesso al suicidio assistito per l’assenza di un trattamento di sostegno vitale. Oggi, il caso di Martina Oppelli, affetta da sclerosi multipla e costretta a considerare anche lei il trasferimento in Svizzera, evidenzia le gravi lacune nella tutela di questi diritti.
Migliaia di richieste di fine vita
Secondo l’Associazione Luca Coscioni, negli ultimi 12 mesi sono state presentate 15.559 richieste di informazioni sul fine vita, con un aumento del 28% rispetto al 2022. Tra queste, vi sono oltre 3.000 richieste su eutanasia e suicidio assistito, mentre in molti casi i malati vengono accompagnati in Svizzera dai volontari dell’associazione, che al ritorno in Italia si autodenunciano, praticando una forma di disobbedienza civile.
Disobbedienza civile come ultima strada
In assenza di una legge, il presidente dell’Associazione Luca Coscioni, Marco Cappato, continua a sostenere la necessità di disobbedire per portare avanti la battaglia del diritto alla morte dignitosa. “La vera agenda politica sull’eutanasia e fine vita la stiamo facendo noi con le disobbedienze civili e nelle aule di giustizia. Il Parlamento non ha fatto nulla”, ha dichiarato Cappato. Di fronte a un Parlamento che continua a rimandare la discussione, l’impegno civile rimane una delle poche strade percorribili per chi chiede giustizia sul fine vita.