
“L’atleta che stiamo giudicando oggi non è una semplice tennista professionista: ha un’esperienza vasta, è ai vertici del ranking mondiale da anni e ha vinto due Slam. Nel fare uso del prodotto che ha causato la positività all’antidoping, si è affidata completamente alla sua fisioterapista personale, che non è un medico o un clinico. La questione che questo Panel del Tas si pone è come mai, in un contesto così professionale, questioni legate all’antidoping siano delegate a persone prive di competenze specifiche in questo ambito”.
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La sentenza del tribunale
“L’atleta avrebbe dovuto riconoscere i limiti delle qualifiche della sua fisioterapista. Il fatto che si trovasse a competere negli Stati Uniti, lontana dal suo continente, non giustifica la mancata consultazione di uno specialista, affidandosi così a una persona senza le necessarie competenze mediche”. Questi estratti, liberamente tradotti dall’inglese, provengono dai punti 227/233 della sentenza emessa dal Tas di Losanna, pubblicata recentemente, che ha sancito una squalifica di nove mesi per Simona Halep, la tennista rumena vincitrice del Roland Garros nel 2018 e di Wimbledon nel 2019. L’accusa è quella di ‘incauto utilizzo di un integratore contaminato’.
La decisione del tribunale ha destato molta sorpresa. Halep era stata inizialmente sospesa per quattro anni dall’Itia con accuse gravi di doping intenzionale, a causa dell’uso di Roxadustat, un farmaco proibito per combattere l’anemia, supportato da anomalie nel suo passaporto biologico. Tuttavia, queste accuse sono state successivamente ritirate, e la sanzione è stata limitata all’uso non consapevole di un integratore contaminato.
Le motivazioni dettagliate della sentenza offrono spunti di riflessione anche in altri contesti sportivi, come nel caso dell’italiano Jannik Sinner, il cui staff ha utilizzato una pomata per trattare una lesione, portando a un caso simile. Anche se i contesti sono diversi, il Tas sottolinea l’importanza che gli atleti di alto livello non affidino decisioni delicate, come l’uso di prodotti potenzialmente rischiosi, a figure non qualificate come fisioterapisti o allenatori. Questo principio potrebbe avere rilevanza anche nel caso di Sinner.