La tragica storia di Shaban Ahmed Al-Dalou, uno studente di 19 anni, racconta il dolore e la disperazione delle moltissime vita spezzate nella Striscia di Gaza, in mezzo alla devastazione causata dai bombardamenti israeliani. Shaban, era uno studente modello e sognava di diventare ingegnere informatico. La sua vita, però, era segnata dalle difficoltà e dalla precarietà imposte dalla guerra. Il 19enne è morto insieme alla madre Alaa prima dell’alba di lunedì, tra le fiamme della tenda in cui si trovavano nel cortile dell’ospedale Martiri di Al Aqsa di Deir al-Balah, nel cuore della Striscia. Era attaccato al flebo ed è morto bruciato.
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“Ciao dalla tenda in cui risiediamo – diceva presentandosi in un altro video che aveva postato sui social – sono Shaban Ahmed Al-Dalou, studente 19enne di ingegneria informatica. Siamo stati sfollati cinque volte finora. Ora siamo all’ospedale Al Aqsa, nel centro di Gaza, a Deir al-Balah. Con la mia famiglia viviamo in condizioni molto difficili, soffrendo cose come la mancanza di una casa, cibo limitato e medicinali estremamente scarsi. L’unico mezzo che ci divide dal gelo è questa tenda che abbiamo costruito noi stessi. Faccio questo video per chiedere l’evacuazione e ricominciare una nuova vita in Egitto”. Shaban aveva affidato la sua disperazione e il suo appello al mondo attraverso i social media, ma come tanti giovani nella Striscia di Gaza, il suo grido è rimasto inascoltato.
Suja Sawafta autrice e docente di letteratura araba, racconta di lui: “Era entrato nel programma di mentorship di cui faccio parte. Sognava di studiare e faceva ogni giorno mezz’ora di strada avanti e indietro” per trovare un briciolo di connessione internet “anche mentre era ferito, affamato e disidratato”.
“Salam ragazzi – aveva scritto pochi giorni prima ai compagni della Scholarships for Ghaza Initiative fondata da Ahmed Issa – ieri hanno bombardato davanti all’ospedale Al Aqsa, io ero lì che dormivo e mi sono visto la morte in faccia. Mi hanno tirato fuori dalle macerie: ero svenuto, ferito e insanguinato come in un incubo. Ho una ferita alla testa e mi hanno dato 11 punti dietro alle orecchie. Se il colpo fosse stato appena più forte ormai sarei morto, o avrei subito danni ai polmoni. Al momento mi fa male ovunque”.
“Shaban – scrive ora Issa su Instagram – mi aveva scritto che era stato ferito”. Mostra lo screenshot: “Mi dispiace tanto Shaban – gli ho risposto – non ho davvero parole. Mi raccomando, abbi cura di te”. La replica arriva domenica mattina alle 11,16: “Grazie a Dio ora sto un po’ meglio”. È morto poche ore più tardi. Shaban aveva affidato la sua disperazione un post su Facebook: “Mai nella mia vita ho sentito qualcosa di più terrificante del pensiero della morte di una persona, della sua scomparsa in un attimo. Della sua fine improvvisa, e dell’impossibilità del ritorno. La mente umana, con tutta la sua vivida immaginazione e la capacità di comprensione e creazione, è impotente di fronte a questo vuoto. Se non fosse per la misericordia di Dio su di noi, per la nostra fede che questa è la Sua volontà e per la nostra accettazione di ciò, certamente perderemo la ragione”. Un addio straziante quello di Shaban, i cui occhi, non potranno mai gioire del futuro luminoso che lo attendeva.