
“L’Occidente non sta affatto bene. Se, come in questi mesi, assistiamo alla nuova caccia all’ebreo e si fa finta di niente vuol dire che siamo messi molto male”.
Pierluigi Battista, oggi firma dell’Huffpost dopo una lunga carriera giornalistica vissuta tra Panorama, La Stampa e il Corriere della Sera, ha ragionato e poi scritto un libro essenziale e scomodo: “La nuova caccia all’ebreo” (ed. Liberilibri). Pagine che mettono in fila i tanti, tantissimi episodi che, dopo l’attacco terroristico di Hamas agli israeliani del 7 ottobre 2023 – oltre mille civili uccisi e più di 300 sequestrati – si sono ripetuti in quasi ogni angolo del mondo occidentale. The Social Post ha intervistato l’autore alla vigilia del 16 ottobre, data del rastrellamento e della deportazione, eseguiti dall’esercito nazista con la collaborazione dei fascisti, di oltre 1250 cittadini ebrei dal Ghetto di Roma nel 1943.
“Questa data – rileva Battista – ci porta a uno dei mille episodi accaduti nel mondo da un anno a questa parte e che metto nel libro. Dopo i fatti del 7 ottobre 2023, in un corteo che si stava avvicinando proprio al Ghetto, si alzò il coro ‘fuori i sionisti da Roma’. Quindi, a pochi giorni da quei fatti e dalle formali e retoriche celebrazioni sulla deportazione degli ebrei romani, chi diceva di manifestare per la Palestina urlava questa cosa. Questo fatto non ebbe nessuna reazione da parte della cultura democratica o da chi ha sempre detto ‘mai più’ quando si celebra il giorno della Memoria. Questa considerazione è il leitmotiv di tutto il libro”.
La sinistra, generalmente, è abbastanza o totalmente silente su questi episodi. Spesso da quel mondo si ripete che “bisogna contestualizzare i fatti”, ma questo somiglia più a una forma di giustificazionismo?
“Questa nuova ondata antisemita, la più grande a cui assistiamo dalla fine Seconda guerra mondiale, è diversa da quella cui eravamo quasi abituati e che ha visto sempre la sinistra schierarsi contro. Che non è l’antisemitismo degli skinheads, di chi vandalizza le tombe degli ebrei o disegna le svastiche, ma è quello che si fonde totalmente con l’antisionismo. Mi torna alla mente Rossana Rossanda ai tempi delle Brigate Rosse, sul fatto che fossero o no ‘rosse’. Lei disse: ‘Percepisco nelle parole delle Br qualcosa che appartiene al mio album di famiglia’. Ecco: lei non era una terrorista, ma capiva che negare l’esistenza delle Br era il non saper fare i conti con la propria storia. Ora la storia della sinistra, tra anticapitalismo e antiamericanismo, lo stare contro i totalitarismi che hanno spadroneggiato nel mondo, vede nel sionismo e quindi nello stato ebraico una nuova manifestazione di quell’Occidente che in realtà odia”.
Anche se questo non viene esplicitato.
“Nessun esponente della sinistra farà mai affermazioni antisemite, ma fa solo finta di non capire che in quelle manifestazioni di piazza a. Con questo silenzio o imbarazzo non mette una barriera a quell’odio contro gli ebrei, ma manifesta la sua incapacità a farlo”.
Spesso abbiamo assistito, in più parti del mondo, a cortei pro Palestina che si trasformano in cortei pro Hamas.
“No, nascono totalmente come pro Hamas. Dobbiamo essere chiari su questo: non è un’opinione né uno slogan. Per quella di Roma di pochi giorni fa era scritto nel testo, nella piattaforma della convocazione della manifestazione. Testuale: ‘Il 7 ottobre segna l’inizio di una nuova rivoluzione’. Ma del resto Hamas non è pro Palestina, assolutamente, vuole la distruzione dello Stato israeliano e la Jihad islamica. Non hanno nulla dei terroristi nazionalisti, come potevano essere quelli irlandesi o baschi, ma vogliono sono eliminare ‘l’entità’ sionista”.
Lei dice che oggi si è lacerata anche quell’ultima membrana che separava l’antisemitismo dall’antisionismo. Come si traduce questo con lo stato israeliano, legittimo e democratico, guidato da un governo di estrema destra e con i fanatici religiosi al suo interno?
“Attenzione, la domanda non è ben posta. Dopo il 7 ottobre Israele è stato guidato da un governo di unità nazionale che va dall’estrema destra alla sinistra. Dal quale lo scorso giugno è uscito Benny Ganz. Poi una parte è formata dai membri del partito di Nethaniau che prima avevo rotto con il premier e poi si è riappacificata, quindi il suo governo non dipende più numericamente dai voti degli estremisti di destra. Chiaro? Io sono convinto che se si rivotasse in Israele rivincerebbe Netanyahu, perché non si vede l’alternativa”.
Ma la domanda si pone prepotentemente, visti anche i colpi dell’esercito israeliano contro l’Unifil: quanto un’azione di governo così muscolare contribuisce alla lacerazione di quel confine tra antisemitismo e antisionismo?
“Rispondo con un paradosso. Se domani in tutto l’Occidente si aggredissero i russi che ci vivono, vedessimo roghi dei libri di Tolstoj o Dostoeveskj, devastati consolati e ambasciate russi e messi fuori dalle università studenti e docenti solo in quanto russi, ebbene si potrebbe dire che la colpa è anche un po’ di Putin? Come si potrebbe alimentare la caccia al russo perché in fondo Putin, dopo aver invaso l’Ucraina, alimenta un sentimnento antirusso? Vengo al dunque: io non sono per niente convinto di tutto quello che ha fatto il governo israeliano nell’utlimo anno, ma non vedo alcun nesso tra la sinagoga incendiata e la politica di Nethanyau. Se non quello di dire che questi sono ebrei brutti e cattivi e quindi vanno colpiti. Diventa una scusa”.
Dove trova radici tutto questo?
“Nella forza del pregiudizio e nell’ignoranza: assistiamo a un clamoroso collasso culturale. Che certe cose avvengano anche nelle università ci dà il senso dello sprofondamento culturale in cui viviamo nell’Occidente, che coinvolge come vediamo anche atenei prestigiosi come Harward”.
A proposito di Stati Uniti, l’attuale debolezza politica dell’ultima potenza mondiale sullo scenario internazionale può avere un nesso con l’attuale scenario nel Medioriente?
“Io non volevo mettere la storia dell’ultimo anno nel mio libro, ma descrivere la nuova ondata di merda e fango antisemita che sta sommergendo l’Occidente. Questo è il punto, non sono un geopolitico e al limite non mi interessa sapere quello che fa Israele, piuttosto dire che ogni volta che quel paese fa una cosa, che anche altri stati fanno, questa viene subito inserita nelle categorie del genocidio. Per esempio, sul massacro di Assad in Siria contro il suo stesso popolo con migliaia di bambini morti, il mondo è stato in silenzio, reticente e ipocrita. Perché ci faceva comodo che così si combatteva quell’Isis terrorista che colpiva con i camion a Nizza e Berlino o al Bataclan a Parigi”.
Molti ipotizzano che oggi anche Israele stia facendo il lavoro sporco, cioè eliminare pericolosi terroristi, anche perché questo fa comodo a molti altri.
“Israele lo sta facendo per la sua sopravvivenza e l’Occidente non capisce che la morte di Israele equivale alla sua stessa morte. Infatti dico nel libro che se l’Occidente dà la caccia agli ebrei rinnega se stesso e pone le basi per la sua fine. Intendendo quella parte del mondo dove ci sono democrazia politica, parlamentarsismo, rispetto dei diritti fondamentali, uguaglianza tra uomo e donna, processi regolari, la stampa libera… tutto questo è Occidente. Se si parteggia contro Israele che ha esattamente tutti questi elementi fondanti, e non solo perché lì si vota, si comprende il paradosso”.
Che Israele esista e non solo perché si difenda dal terrorismo.
“Sì, perché anche lì ci sono libri e film che criticano il proprio paese, c’è una letteratura con autori come Abraham Yeoshua, Amos Oz o David Grossman che non sono pagati dal regime. Dall’altra parte cosa c’è? Le donne coperte e tenute nelle cantine e gli omosessuali buttati giù dai palazzi, letteralmente, che andavano in Israele per rifugiarsi dal linciaggio, lo capiamo? Poi però ci incazziamo per una desidenza tra presidente e presidentessa. A me sembrerebbe di vivere in un mondo parallelo in cui si stanno sbriciolando i fondamenti dell’Occidente liberale e democratico come piacciono a me”.
Intravede qualcuno che possa invertire, o quanto meno accendere un faro su quel che lei definisce un collasso culturale? La figura del Papa?
“Culturale e morale. Rimedi non ce ne sono, se non fare una forte battaglia culturale e morale e a me sembra che la stiamo rovinosamente perdendo. Se vedi tutti i telegiornali che, in modo automatico e di istinto, quando c’è una manifestazione mostrano le immagini e dicono che è pro-Palestina, comprendi che è sparito ogni elemento di contrasto. Il Papa? Ma è totalmente immerso in questa temperie culturale. Da non cattolico, come uno che non fa parte della ditta, registro che quello che Francesco sta dicendo su Ucraina e Israele grida vendetta. No, non ci sono figure autorevoli, sicuramente non questo Papa. E’ in atto una nuova caccia all’ebreo e si fa finta di niente: siamo messi molto male”.