Era conosciuto come il più grande penalista d’Italia, un titolo che però non amava. Giuseppe De Luca, nato a Picciano nel 1926 e scomparso a 98 anni per le conseguenze di un’infezione polmonare, era un uomo che, nonostante il suo indiscusso successo, si schermiva di fronte ai complimenti. Allievo prediletto di Francesco Carnelutti, aveva saputo distinguersi grazie alla sua mente acuta e alla capacità di andare oltre i codici e le norme, portando a casa successi nei processi più complessi del Novecento.
La carriera
Giuseppe De Luca aveva iniziato la sua carriera nel 1948, affiancando Carnelutti nel processo al Maresciallo Rodolfo Graziani, una vetrina che avrebbe anticipato una serie di trionfi. Con la sua lucidissima analisi del caso, De Luca evitava la retorica teatrale che spesso contraddistingue i grandi processi, concentrandosi piuttosto sulle regole procedurali e sulle pieghe del diritto. Uno dei suoi primi successi mediatici fu la difesa del compositore Piero Piccioni nel controverso caso Wilma Montesi del 1953, che vide il musicista assolto da tutte le accuse.
Ma Giuseppe De Luca non fu solo il difensore degli uomini di potere italiani. Nel 1976, si ritrovò al centro di uno scandalo internazionale con il sequestro per oscenità del film “Ultimo tango a Parigi”. Al fianco del regista Bernardo Bertolucci, riuscì a ottenere una revisione della condanna che aveva visto il regista privato dei diritti civili per cinque anni. Lo stesso avvocato abruzzese difese l’attrice Sophia Loren quando, nel 1982, fu arrestata per evasione fiscale, riuscendo a risolvere anche questo caso con successo.
La scelta di una vita lontana dai riflettori
Nonostante la sua presenza nei processi più eclatanti, De Luca era noto per il suo basso profilo. A differenza di altri colleghi, evitava i mass media e preferiva mantenere un distacco dalle luci della ribalta. Anche quando fu chiamato da Silvio Berlusconi per difenderlo nei primi processi che lo investirono, il suo nome restò lontano dai riflettori. Berlusconi arrivò persino a proporgli il ruolo di ministro della Giustizia, ma De Luca rifiutò, preferendo restare nel mondo che più gli apparteneva: quello degli studi e del diritto.
L’uomo dietro la toga
Nonostante la sua fama, De Luca non dimenticò mai le sue radici. A Picciano, dove era cresciuto con il fratello Diego – anch’egli destinato a una carriera brillante come medico vaticano – tornava ogni estate. Era lì che, tra una passeggiata e una conversazione sulla storia o l’attualità, Giuseppe De Luca dimostrava tutta la sua umiltà e la sua disponibilità verso il prossimo. Nonostante fosse un professore universitario alla Sapienza di Roma, evitava la pedanteria accademica e si concentrava sul riconoscere e incoraggiare il talento nei giovani avvocati. Giuseppe De Luca era amato e rispettato nella sua Picciano, dove tutti lo chiamavano affettuosamente “don Peppino”, un appellativo che risaliva a tradizioni familiari. La sua vita, segnata da successi straordinari nel mondo del diritto, si è conclusa con un ritorno alle origini: riposerà nel cimitero del suo paese, accanto ai genitori, Pasquale e Ada.
L’eredità di un grande giurista
Giuseppe De Luca lascia un’eredità indelebile nel panorama giuridico italiano. Principe del foro suo malgrado, ha sempre preferito la sostanza alla forma, la discrezione alla notorietà. Anche quando ha difeso i potenti, non ha mai perso di vista i valori che lo avevano guidato fin dai primi giorni come allievo di Carnelutti: la meritocrazia, la giustizia e una profonda fede nel diritto.