
Una vicenda complessa ed estremamente dolorosa ha visto protagonista una famiglia di Altopascio, alla quale nel 2018 era stato tolto un bambino di quattro anni, poi affidato a una comunità per 40 giorni. Il provvedimento è stato ritenuto “abnorme” e, dopo un lungo iter giudiziario, il Tribunale di Lucca ha condannato il Comune a risarcire i genitori con 200mila euro per i danni morali e biologici subiti.
Le accuse
Tutto ha avuto inizio quando la sorella maggiore del bambino, allora diciassettenne, è fuggita di casa e, una volta rintracciata, ha accusato i genitori di maltrattamenti nei confronti di lei e del fratellino. Sulla base di queste dichiarazioni, i servizi sociali hanno deciso di intervenire immediatamente, allontanando il minore e trasferendolo in una comunità protetta. Le accuse della ragazza includevano presunti episodi di violenza domestica, ma si è scoperto che i suoi racconti travisavano la realtà. Grazie ad un provvedimento del presidente della Corte d’Appello di Firenze, il bambino è stato restituito alla famiglia dopo 40 giorni, ma il danno, ormai, era fatto.
Scarse verifiche da parte del Comune
Il Tribunale di Lucca ha criticato duramente il comportamento del Comune di Altopascio e dei servizi sociali. Nel corso della sentenza, si è evidenziato come il personale comunale avesse avuto un “lasso di tempo non trascurabile di ben sei giorni”, durante i quali avrebbe potuto effettuare più accertamenti per verificare la veridicità delle accuse mosse dalla ragazza. Tuttavia, queste verifiche non sono state svolte in maniera adeguata. Le decisioni dei servizi sociali erano basate unicamente sulle dichiarazioni della sorella e su materiale audio e fotografico da lei fornito, incluse alcune conversazioni di messaggistica istantanea. Tuttavia, il Tribunale ha sottolineato che questo materiale non conteneva prove sufficienti per giustificare l’allontanamento del bambino.
La richiesta di risarcimento
La famiglia ha quindi avviato una richiesta di danni, sostenendo che il provvedimento fosse basato su informazioni erronee e che le verifiche da parte del Comune fossero state del tutto insufficienti. La Corte ha stabilito che, con un adeguato approfondimento, si sarebbe potuto rilevare l’inattendibilità del racconto della sorella, che aveva macroscopicamente travisato la gravità degli episodi.
Ora, a distanza di sei anni dall’inizio di questa vicenda, il Comune di Altopascio è stato condannato a risarcire la famiglia, riconoscendo l’errore commesso nell’allontanamento del bambino senza le dovute verifiche.