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Utopia e Coppola in Megalopolis: non c’è più il sogno di una Nuova Roma

Pubblicato: 21/10/2024 13:17

La favola, come l’ha chiamata, di Francis Ford Coppola oggi nelle sale è un film potente, trasognante, che potrebbe disorientare lo spettatore. Sembra tirato su sotto effetto della LSD, la droga che andava di moda quando il cineasta di origini italiane, lucane per la precisione, era giovane ed alle prime armi. Questo film viene da lontano, è una di quelle idee che rimangono nella testa, come Athena per Zeus, di un artista per decenni, perché c’è altro da fare, da narrare, da illustrare. E poi escono fuori, come figlie, per partenogenesi. Nel frattempo dentro la testa, sino cresciute, si sono sovrapposte, stratificate, ornate, e hanno cominciato a vivere di luce propria. La luce di Megalopolis è potente, insieme alla sua fotografia, l’insieme del casting è sconvolgente e sembra una carrellata della storia del cinema, un compendio degli ultimi 50 anni per un alieno che sbarca sulla terra, e vorrebbe capire cosa è questa settima arte di cui si parla nell’universo. Il manifesto La nascita della settima arte è opera del critico Ricciotto Canudo che nel 1921 la definì come la potenza espressiva che poteva coniugare lo spazio ed il tempo. Ed è esattamente quel che succede tra la fotografia onirica, da oblìo da cinema, ed il tempo ansia e ricerca del protagonista un talento del calibro di Adam Driver. Il tempo ed i tempi della Storia, della Nuova Roma, come fu definita New York, culla di pensiero nuovo per l’occidente dopo la terza Roma, Mosca, dello Zar Ivan il Grande, Costantinopoli, e in principio la Repubblica romana di Cicerone e Catilina che ritroviamo nell’opera di Coppola.

Cicerone rappresenta la conservazione dello status quo, la concretezza di occuparsi dall’ordinario fluire del tempo odierno, quel sorridere davanti alle avversità, guardando per terra e non alzando lo sguardo. L’architetto lecorbusiano Catilina, che guarda il mondo dal Chrysler Building, ha bisogno di gestire il tempo, fermarlo per riflettere, progettare una visione di futuro, di immaginare l’utopia. L’utopia è pericolosa, la gente, i populismi arrabbiati, affamati, alimentati da Pulcro, Le Bouf, l’immagine del Consumismo, non riescono a sognare tra istinti primordiali, Pane e Circo, per anestetizzare le frustrazioni e il dolore del vivere. Ma cos’era Roma – come dice il citato Ridley Scott con Marco Aurelio? Era un’idea di cambiamento, un mondo migliore, di cui potevamo essere cives, cittadini. E questo era l’American Dream, la culla della Democrazia, dell’eguaglianza tradita della Rivoluzione Francese, lo spazio in cui si era eguali e liberi. Oggi il Sogno, materia di cui secondo Shakespeare siamo fatti, americano è in declino rutilante, e cosa può salvarlo? Solo una nuova idea di cambiamento. Un’ Utopia nuova.

Questo era il sogno di una generazione di grandissimi registi e artisti, usciti dalla botta di libertà creativa degli anni del Peace & Love, i mitici anni sessanta, Altman, Kubrick, Scorsese, Cronemberg, Spielberg, e Francis Ford Coppola, un’era di giganti che osavano narrazioni e linguaggi che oggi non rintracciamo. Tutto dagli anni ’80 è declinato secondo il mantra del consumo, del copy senza right. più che “Mangia, prega, ama”, mangia e basta.  Davanti a questo bivio della Storia, che casualmente arriva oggi con le elezioni americane in un mondo che non trova il bandolo della matassa, con un Occidente spappolato e senza idee, senza Nuove Roma, l’Utopia di Coppola non è distopica, è topica.

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