Il calcio giocato in Arabia Saudita è una chimera. Un bel sogno che, chi vive all’ombra dei ritrovamenti nabatei, pensava di poter comprare. Mancini ora lo sa, o forse l’ha sempre saputo. Pensare di instillare nel popolo saudita, una passione così preponderante per noi europei, era quasi un’utopia. Il calcio, oltre i 90 minuti di gioco, è tradizione, è tifo, è fede. Elementi che forse, nella penisola arabica, non esistevano neppure. “In Arabia ci vuole pazienza, soprattutto adesso che i giocatori locali non sono più titolari nei club. I dirigenti sono anche molto bravi ma non esiste ancora grande esperienza per un calcio ad alto livello”, ha dichiarato al Messaggero Mancini che lascia dopo 14 mesi tormentati.
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In questo breve lasso di tempo ha conquistato nove vittorie, sette pareggi e cinque sconfitte in 21 partite, ma dopo il doppio impegno contro Giappone e Bahrain il suo addio era quasi diventato scontato. Riguardo alla possibilità di qualificazione per il prossimo Mondiale, Mancini ha sottolineato che sarebbe stata un’impresa ardua: “Ma la qualificazione – ha detto – sarebbe stata operazione difficile per le difficoltà create dall’arrivo di tanti stranieri. Non avevo neanche il 50% dei titolari in campionato”. Insomma, un bel sogno mal confezionato. O forse una gestione lassista.
Insieme a Mancini saluta l’Arabia Saudita anche tutto il suo staff. Torneranno a casa Salsano, Lombardo, Battara, Gregucci, Nuciari, Donatelli, Scanavino e Gagliardi, mentre al momento Luigi Di Biagio manterrà il ruolo di allenatore della Under 23 saudita.