
Chi guadagna 55.000 euro o più sostiene praticamente da solo circa il 42% delle entrate fiscali, senza ricevere alcun vantaggio in cambio. Su un totale di 59.030.133 residenti, 42.026.960 hanno presentato la dichiarazione dei redditi nel 2023. Solo poco più della metà degli italiani ha versato almeno un euro di Irpef. Il 75,57% dell’Irpef è a carico del 24,20% dei contribuenti, ovvero di coloro che guadagnano almeno 29.000 euro. Invece, il 75,80% degli italiani dichiara redditi pari a zero fino a 29.000 euro, contribuendo solo al 24,43% della totale Irpef. Queste informazioni derivano dall’Osservatorio Itinerari Previdenziali, realizzato dal Centro Studi e Ricerche presieduto da Alberto Brambilla. «Coloro che guadagnano da 55.000 euro in su, che rappresentano poco più del 5% del totale, sostengono da soli il 42% delle entrate fiscali, senza ricevere nulla in cambio», afferma Stefano Cuzzilla, presidente di Cida e sostenitore della ricerca. «Questa categoria di contribuenti è spesso esclusa da sussidi, bonus e da qualsiasi forma di assistenza gratuita», aggiunge Brambilla.
«Negli ultimi 15 anni, i redditi dichiarati sono aumentati del 21,44%, mentre la spesa per il welfare ha registrato un incremento del 38%, con particolare focus su quella assistenziale, che si avvicina sempre più alla cifra dell’Irpef ordinaria. Questo confronto evidenzia un onere che si fa sempre più pesante da sostenere, sia ora che in futuro», commenta il professor Alberto Brambilla, coautore del report insieme al dottor Paolo Novati. Egli sottolinea che è giusto aiutare chi è in difficoltà, ma i decisori politici tendono a trascurare il fatto che tali percentuali sono anche influenzate dall’economia sommersa e dall’evasione fiscale, fenomeni in cui l’Italia primeggia in Europa. «È credibile che quasi la metà degli italiani viva con circa 10.000 euro lordi all’anno?».
Dall’analisi dell’Osservatorio emerge che l’86,33% delle imposte dirette (circa 278 miliardi di euro) beneficia principalmente le prime tre fasce di reddito fino a 20.000 euro (che comprendono il 53,19% della popolazione) e, in parte, quelli tra 20.000 e 29.000 euro (22,61%). Per quanto riguarda la spesa sanitaria, per i redditi fino a 15.000 euro, la differenza tra l’Irpef versata e il costo della sanità supera i 50 miliardi di euro, salendo a 57,8 miliardi per i redditi da 15.000 a 20.000 euro. Considerando anche il welfare e le spese assistenziali degli enti locali, il totale della redistribuzione si attesta a 240,56 miliardi su circa 661 di entrate, escludendo i contributi sociali. «Si tratta di un costante trasferimento di ricchezza, sotto forma di servizi gratuiti, di cui una vasta platea di beneficiari non è consapevole – afferma Brambilla – anche a causa delle ripetute promesse politiche di nuove elargizioni, e della continua minaccia di eliminazione delle agevolazioni fiscali per i redditi più alti». Brambilla osserva che «c’è un paradosso italiano: più tasse si pagano, meno servizi si ricevono (e viceversa)».
A sostenere il welfare per tutti sono poco più di 6 milioni di contribuenti con redditi superiori ai 35.000 euro, secondo quanto verificato dall’Osservatorio. Più in dettaglio, il 1,5% di contribuenti con redditi superiori ai 100.000 euro versa il 23,59% dell’Irpef totale, mentre coloro che guadagnano tra i 55.000 e i 100.000 euro, che rappresentano il 3,89% della popolazione, coprono il 18,11% del totale delle imposte.
A complicare ulteriormente la situazione ci sono le nuove manovre fiscali, che prevedono tagli alle detrazioni a partire dai 75.000 euro, il che equivale a un aumento della tassazione per chi contribuisce di più. Questo veicola un messaggio preoccupante: in Italia non è vantaggioso distinguersi, produrre o innovare. Piuttosto, sembra più conveniente evadere e nascondere i propri guadagni, sottolinea Stefano Cuzzilla, presidente di Cida. «Ad esempio, un quinto dei contribuenti italiani dichiara redditi minimi o nulli. Questa è una quota significativa che non si addice a una delle maggiori potenze industrializzate. Un Paese che, purtroppo, dipende dall’assistenza e dal sostegno, mentre si immerge nell’economia sommersa. Negli ultimi dieci anni, la spesa per il welfare è aumentata del 30% a causa di un aumento vertiginoso della spesa assistenziale, pari a +126%. In sostanza, il carico fiscale per coloro che producono e contribuiscono è diventato insostenibile – conclude Cuzzilla. Mentre l’inflazione ha eroso il 24% del potere d’acquisto in 15 anni, questa ristretta minoranza continua a finanziare la sanità, i servizi sociali e l’assistenza per tutti, spesso senza beneficiare di alcun vantaggio diretto».