La tragica scomparsa della giovane sciatrice Matilde Lorenzi ha lasciato un segno profondo, scuotendo non solo chi la conosceva, ma anche chi ha scoperto il suo nome solo ora, per una circostanza tanto drammatica. È una perdita che colpisce e sconcerta, una di quelle tragedie che sembrano sfidare la logica, specie quando riguardano una giovane vita piena di progetti e ambizioni.
Matilde se n’è andata mentre faceva ciò che amava di più: lanciarsi lungo i pendii innevati, fendere l’aria e scivolare con quella sicurezza e quell’euforia che solo chi vive per la montagna conosce davvero. Per lei, sciare non era solo sport; era una forma di espressione, una comunione con la natura. Quel volo sulle piste, quella sensazione di libertà assoluta erano il suo modo di sentirsi viva.
Chiunque abbia provato l’emozione della discesa sugli sci può immaginare quel senso di leggiadria e potenza: il mondo intorno che sfuma, il vento gelido che punge il viso, il ritmo delle lamine che tagliano la neve. Proprio mentre viveva questo momento di perfetto equilibrio, un destino crudele le ha portato via tutto, interrompendo un percorso appena iniziato.
Non aveva ancora vent’anni, e non esistono parole sufficienti per descrivere il dolore e lo smarrimento che lascia dietro di sé. L’unica consolazione è forse quella che esprime la sua compagna di squadra: «In ogni gara, in ogni curva, Matilde sarà sempre con noi». Quel ricordo di forza e grinta continuerà a risuonare tra chiunque condivida il suo amore per la montagna. Anche chi non ha mai indossato un paio di sci può sentire il peso di questa perdita, perché la passione e i sogni appartengono a tutti, senza confini.