La prima puntata stagionale di Report si rivela un terremoto e fa segnare un record di ascolti. Prima ancora di andare in onda, la trasmissione di approfondimento politico condotta da Sigfrido Ranucci ha infatti provocato le dimissioni di Francesco Spano, capo di gabinetto del ministero della Cultura, nominato appena dieci giorni prima dal neo ministro Alessandro Giuli. Ma le vere polemiche esplodono sull’opportunità della messa in onda di un’inchiesta sulle tangenti in Liguria, proprio mentre le urne delle elezioni regionali erano ancora aperte.
Leggi anche: Sangiuliano-Boccia, a Report la foto della ferita alla testa
A protestare con veemenza contro Ranucci e i suoi collaboratori è l’ex governatore ligure Giovanni Toti. Il servizio di Report andato in onda ipotizzava sue connessioni con vertici mafiosi per raccogliere voti, in continuità con Marco Bucci, candidato del centrodestra alla Regione e fresco vincitore delle elezioni contro tutti i pronostici. “Calunniose suggestioni, notizie già note che, chissà perché, meritavano di essere trasmesse, montate ad arte tra il primo e il secondo giorno di voto in Liguria. – Toti ha il dente avvelenato contro Report – Un racconto fatto di indagati già colpevoli, di mafiosi solo perché siciliani, di maleducazione spacciata per giornalismo, di furore politico elevato a deontologia”.
Lo stesso servizio ha fatto comunque cenno anche ai legami di due esponenti del Pd con alcuni degli indagati nell’inchiesta sulla corruzione che ha provocato le dimissioni di Toti qualche mese fa. Ad essere intervistato è stato l’altro candidato alle regionali, lo sconfitto Andrea Orlando del Pd, che ha escluso categoricamente ogni genere di rapporto. Anche Bucci è stato intervistato, ma ha preferito non rispondere.
Cosa rischia Report
La Rai non si è opposta alla messa in onda del servizio di Report sulle tangenti in Liguria, nonostante le proteste preventive del centrodestra. Ma nei prossimi giorni l’Agcom, l’Autorità per le comunicazioni, potrebbe essere costretta ad intervenire. Teoricamente la legge vigente prescrive il silenzio elettorale soltanto per i candidati e i partiti. Spetta poi al prefetto controllare. Per quanto riguarda i giornalisti, invece, trattandosi di elezioni regionali e non nazionali, non scatta la legge sulla par condicio. Ma esiste comunque un tema di opportunità che l’Agcom potrebbe affrontare nelle prossime sedute, forse richiamando la Rai, oppure sollevando il tema del buco normativo, che oggi esiste anche per i candidati che continuano a fare campagna elettorale sui social.