Kamala o Donald? Tempestati come siamo dai mezzi di comunicazione di qualsiasi tipo, da settimane, è normale che, con amici e conoscenti, tra una chiacchiera e l’altra, spunti la domanda fatale: “ma tu, tra Trump e Harris, chi voteresti?” Amici e conoscenti sanno perfettamente che sono un italiano conservatore. E anche questa definizione rischia di suscitare altre domande. Perché non è ben chiaro ai più che cosa significhi essere un conservatore. Eppure è semplice. Essere conservatore significa essere realisti e pragmatici. Auspicare, cioè, che si cambi quel che non funziona con prudenza, consapevoli che gridare “vogliamo tutto” è una fesseria, perché tutto non si può cambiare. Quando, storicamente, ci si è provato, sono nate le dittature. Di qualunque tipo e colore.
Al conservatore piacciono la democrazia, la libertà personale, il realismo. Al conservatore piace il liberismo economico moderato, piace l’ascensore sociale, piace il diritto di ciascuno di provarci, piace il rispetto delle leggi, piace aiutare gli ultimi. Al conservatore piace persino pagare le tasse, perché sa che lo Stato si regge sui contributi dei suoi cittadini, altrimenti crollerebbe. E sarebbe un disastro. Per tutti. Per i benestanti. Ma ancor di più per i ceti svantaggiati.
Siccome è un realista, il conservatore non ama farsi gli affari altrui. E non vuole che gli altri si impiccino dei suoi. Il che vale anche per i rapporti con gli altri Paesi. Pretende di vivere in uno Stato indipendente e sovrano. A casa sua vuole essere libero di votare chi vuole. E riconosce la libertà di opinione e di voto dei cittadini di ogni Stato indipendente e sovrano.
Ma, essendo, un realista, e non essendo scemo, il conservatore sa perfettamente che il suo Paese non è una monade, e dunque si interroga sulle relazioni internazionali più convenienti per il proprio Paese.
Venendo al dunque, Kamala o Donald? Democratici o repubblicani? Se fossi un cittadino americano sarei in difficoltà. Perché entrambi i candidati non rappresentano, se non marginalmente, il mio modo di vedere le cose. Non essendo americano, in realtà mi interessa solo capire quali potrebbero essere i rapporti con il resto del mondo – a cominciare dall’Italia e dall’Europa – della nuova presidenza statunitense. L’America ha avuto, storicamente, ottimi presidenti, democratici e repubblicani. E anche pessimi presidenti, democratici e repubblicani. Entrambi i partiti, dal mio punto di vista, hanno pregi e difetti. Nelle relazioni internazionali sono diversi. Per tradizione. I repubblicani sono tendenzialmente isolazionisti, i democratici interventisti.
Trump è il prototipo dell’isolazionista radicale. L’America prima di tutto è la cifra che lo caratterizza. Con questa cifra raccoglie i consensi di quella che chiamiamo “America profonda”. Talmente chiusa sui suoi interessi da non volere neppure capire che tutto si tiene nel mondo, e dunque non basta avere immense risorse naturali per poter vivere da sola per se sola. Quindi si rischia la rottura dell’euroatlantismo. Harris, d’altra parte, rappresenta l’America “liberal”, concentrata sui diritti individuali e sull’illusione che il resto del mondo debba riconoscerla come supremo perfetto esempio di convivenza umana. Infiniti paradossi sono parte dei due modi di essere americani. Ma, sostanzialmente, la differenza culturale si riduce a questo.
E allora? Donald o Kamala? Se fossi americano sarei in difficoltà. Ma, ragionando da italiano e da europeo, scelgo il male minore. Trump è, da ogni punto di vista, lontano dalla mia cultura, dal mio modo di pensare la politica e le relazioni internazionali. Harris lo è di meno. Siccome il mio endorcement non conta niente ma vale solo per me stesso, spero che il prossimo presidente degli Stati Uniti d’America si chiami Kamala Harris.
In fondo la penso come l’ex governatore conservatore repubblicano della California Arnold Schwarzenegger. “Sarò sempre un americano prima di essere un repubblicano”, ha spiegato nel suo endorcement: “Voglio andare avanti come paese e anche se ho molte disaccordi con il loro programma, penso che l’unico modo per farlo sia con Harris”. Da conservatore italiano sottoscrivo.