Doveva essere una grande opportunità per l’industria del marmo, un progetto ambizioso per creare un polo europeo del marmo in Cina. Invece, il sogno di un gruppo di imprenditori italiani si è trasformato in una truffa milionaria: 60 milioni di euro investiti in un terreno venduto due volte dal Comune di Dafeng, nella provincia cinese di Jiangsu, e un possibile risarcimento da 92 milioni ancora in sospeso. Massimo Gallus, cavatore di Orosei e presidente di Ouhua, la società creata per realizzare il progetto, ha raccontato la surreale vicenda al Corriere della Sera.
Un progetto promettente, ma finito male
L’idea era di costruire un centro dedicato alla lavorazione e alla vendita del marmo, importando lastre pregiate da tutto il mondo e rivendendole in Cina. A portare avanti il progetto iniziale erano stati due imprenditori italiani, cui si erano aggiunti altri sei soci connazionali e una decina di investitori stranieri, tra indiani, olandesi e spagnoli. In totale, il progetto coinvolgeva circa un centinaio di soci, uniti dal desiderio di dare vita a una vera e propria “città del marmo” sulle sponde del mar Giallo.
Il doppio acquisto del terreno e l’inizio dei problemi
I primi passi sembravano promettenti: la Ouhua ha acquistato dal Comune di Dafeng un terreno di 133 ettari e ha avviato i lavori per costruire i capannoni destinati alla produzione. Presto però sono emersi i primi problemi. Mentre il progetto avanzava, gli imprenditori italiani hanno notato che altre attività industriali iniziavano a sorgere sui terreni di loro proprietà. “Abbiamo chiesto chi fossero e cosa stessero facendo”, racconta Gallus. La risposta è stata spiazzante: “Un impianto di desalinizzazione dell’acqua”. E il terreno? Venduto anche a loro dal Comune.
Così è emersa l’incredibile verità: il Comune di Dafeng aveva venduto due volte lo stesso appezzamento. E a peggiorare la situazione è stato l’ente marittimo cinese, che è intervenuto per dichiarare illegittime le attività della Ouhua, sostenendo che si trovavano in aree marine fuori dalla competenza del Comune.
Un futuro incerto: capannoni demoliti e processo in corso
Oggi i funzionari cinesi coinvolti nella transazione sono irreperibili, e alcune persone legate alla vicenda sono state arrestate dalle autorità. I capannoni della Ouhua sono stati demoliti e l’attività si è interrotta del tutto. “L’azienda ha prodotto per un anno e dovevamo svilupparci, c’erano grandi prospettive”, spiega Giancarlo Bocchese, cavatore vicentino e socio della società, tornato in Italia come gli altri investitori italiani. A presidiare l’area e a seguire il processo legale in corso è rimasto solo Gao Quangfang, socio cinese della Ouhua.
Questa storia rappresenta un duro colpo per l’imprenditoria italiana in Cina, mettendo in luce i rischi di un mercato spesso regolato da meccanismi e leggi non sempre trasparenti.