Dal punto di vista tecnico, si parla di “rimodulazione“. Tuttavia, l’ordine di ridurre le forze dell’ordine nei centri per il soggiorno e il rimpatrio di Shengjin e Gjader in Albania suggerisce una netta ondata di smobilitazione. Nonostante le informazioni contrastanti provenienti da Roma e l’assistenza di Elon Musk, il governo Meloni sembra realmente indirizzarsi verso un ridimensionamento. Questo almeno fino a quando non arriverà il verdetto della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sui trattenimenti nei Cpr, che potrebbe nuovamente contraddire le intenzioni del governo, bloccando definitivamente il piano di Giorgia Meloni e Matteo Piantedosi. Durante le riunioni tecniche al Viminale di ieri, è emersa l’urgenza di frenare il flusso di migranti (si parla di 16 nella prima occasione, 8 nella seconda) per non incorrere nell’accusa temuta a Palazzo Chigi di danno erariale.
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Repubblica riporta oggi la narrazione di questa rimodulazione, che appare più come una ritirata. Il numero massimo di forze dell’ordine che dovevano operare in Albania era fissato a 295 unità, ma tale cifra non è mai stata raggiunta. E, in effetti, è un bene, considerando che ogni poliziotto percepisce un’indennità di trasferta di cento euro al giorno. In totale, gli agenti presenti tra Shengjin e Gjader hanno toccato un numero massimo di 220. Nel frattempo, le denunce alla Corte dei Conti hanno indotto il Viminale a rivedere le proprie decisioni: ora il contingente scenderà a 170, numero ridotto al minimo necessario per gestire i turni di lavoro, che comprendono la sorveglianza di celle vuote. Nel frattempo, la prefettura di Roma ha avviato una gara d’appalto di 3,2 milioni di euro per la manutenzione ordinaria dei centri, e ha stipulato un contratto da 48 mila euro con un’azienda di pulizie albanese per sei mesi di lavoro.
Il 19 novembre scadranno, invece, i termini per un appalto di quasi un milione di euro per i servizi di ristorazione nei due anni futuri. Nel contempo, il Corriere della Sera mette in guardia sul rischio che, a breve, nessun altro migrante venga accolto nei Cpr. I documenti ufficiali indicano una spesa annuale di 134 milioni per il mantenimento delle strutture, che ammonta a 670 milioni in cinque anni. Secondo il Ministero dell’Interno, si tratterebbe di un risparmio rispetto al miliardo e settecento milioni spesi per la prima accoglienza straordinaria. Tuttavia, i magistrati contabili potrebbero richiedere chiarimenti su questi presunti risparmi. La decisione della Grande Chambre è attesa per gennaio 2025, e non per luglio, e il governo potrebbe decidere di attendere il verdetto prima di riprendere i trasporti dei migranti verso l’Albania, sperando in una sentenza favorevole.
La scelta di “rimodulare” potrebbe allinearsi con le esigenze legate alla lotta contro l’immigrazione irregolare. In inverno, infatti, i viaggi via mare tendono a diminuire a causa delle avverse condizioni climatiche. Pertanto, anche in questo frangente, i centri opererebbero a capacità ridotta. Con l’arrivo della primavera e della bella stagione, la situazione potrebbe cambiare, portando i centri a tornare a una capienza massima, che comunque rimane ben lontana dai 3 mila posti inizialmente previsti. Ma la vera questione è cosa accadrà se la CGUE dovesse pronunciarsi contro le scelte del governo. In quel caso, una crisi politica potrebbe manifestarsi in modo più evidente. Fino ad ora, la strategia di Meloni si è basata su un attacco ai giudici considerati “comunisti”, una retorica che potrebbe apparire debole di fronte ai magistrati di Lussemburgo.
Nel frattempo, sette migranti (tre egiziani e quattro bengalesi) recentemente trasferiti a Shengjin sono giunti a Brindisi e dovrebbero presentare ricorso contro i rifiuti delle domande d’asilo in Albania entro 14 giorni. L’esito di questa procedura potrebbe richiedere diversi mesi. Anche la Corte di Cassazione, attesa per gennaio, non si pronuncerà sul decreto relativo ai paesi sicuri, ma sulle regolazioni precedenti, con rischi per i progetti del governo. Infine, si segnala che ogni volta che il Viminale perde in aula, è costretto a coprire le spese legali, con un impatto economico che graverà sulle tasche pubbliche, un esborso di risorse che risulta davvero difficile da giustificare.