Roma, 13 novembre 2024 – Si è spento oggi Franco Ferrarotti, una delle figure più influenti e carismatiche della cultura accademica italiana, considerato il “padre della sociologia italiana”. Docente dal 1960 e primo titolare di una cattedra di sociologia nell’Italia del dopoguerra, Ferrarotti ha avuto un ruolo cruciale nella legittimazione e diffusione di questa disciplina, ampliandone le ramificazioni fino a rendere la sociologia parte integrante della cultura italiana.
Nato nel 1926 a Palazzolo Vercellese, da una famiglia di medi proprietari terrieri, Ferrarotti ha vissuto in prima persona le sfide e i cambiamenti del XX secolo. Dopo le difficoltà economiche della sua famiglia nel periodo postbellico, studiò a San Remo, dove trovò ispirazione per la sua futura carriera esplorando la cultura positivista italiana e affrontando il neoidealismo crociano e gentiliano. Laureato in Filosofia a Torino, Ferrarotti si distinse fin da giovane per la sua straordinaria capacità intellettuale e linguistica: già negli anni Quaranta traduceva per la prestigiosa collana Einaudi autori di rilievo come Theodor Reik e Thorstein Veblen.
Ambasciatore culturale e sociologo pragmatico
Figura di punta nella cerchia di Adriano Olivetti, Ferrarotti incarnava i valori dell’illuminismo pragmatista tipici della cultura olivettiana. Fu “ambasciatore” dell’azienda negli Stati Uniti, dove si confrontò con la nuova società industriale e le sue dinamiche sociali e sindacali. La sociologia di Ferrarotti si differenziava da quella marxista, assumendo una dimensione pragmatica e ispirata al modello americano. Nel 1954 pubblicò il saggio “Il dilemma dei sindacati americani”, contribuendo al dibattito intellettuale della sinistra non marxista in Italia, afferente alla tradizione laica e al cattolicesimo sociale.
Carriera politica e attività editoriale
L’influenza di Olivetti portò Ferrarotti a una breve parentesi politica nel Movimento di Comunità: eletto deputato nel 1959, partecipò alla terza legislatura, nel periodo che avrebbe aperto la strada al centrosinistra. La sua carriera accademica proseguì alla Sapienza di Roma, dove contribuì a fondare e dirigere collane di classici della sociologia. Nel 1967 diede vita a “La Critica Sociologica”, rivista che divenne punto di riferimento per il dibattito culturale del tempo.
Negli anni successivi, Ferrarotti rivolse il suo interesse verso le periferie urbane, in risposta ai cambiamenti sociali avvenuti dopo il Sessantotto, ma mantenne sempre una certa distanza critica dai movimenti di contestazione del periodo.
Un outsider della cultura italiana
Figura unica e fuori dagli schemi, Ferrarotti si descriveva come un outsider: nonostante il suo contributo al rinnovamento culturale italiano, la sua mancanza di una teoria sociologica originale e l’approccio empirico limitarono in parte la sua influenza. Negli ultimi anni, l’editore Marietti ha pubblicato la sua opera omnia, inclusi i suoi scritti autobiografici che rievocano la sua frequentazione degli intellettuali torinesi, come Cesare Pavese e Natalia Ginzburg.
Con la sua lunga e prolifica carriera, Ferrarotti lascia un’eredità intellettuale che ha attraversato il “secolo breve”, tracciando un percorso unico tra sociologia, editoria e politica, sempre all’insegna dell’indipendenza intellettuale e del confronto con il pragmatismo anglosassone.