“Giulio Regeni è stato trovato ammanettato con le mani dietro la schiena e con gli occhi coperti. Ho avuto modo di vederlo uscire dall’interrogatorio, visibilmente provato dalla tortura subita. Era accompagnato da due guardie che lo sostenevano. Lo stavano riportando nel luogo di detenzione.” Così racconta un testimone in un video di un documentario trasmesso da Al Jazeera e presentato durante il processo per la morte del ricercatore a Roma. Il testimone è un cittadino palestinese che ha vissuto in una prigione gestita dai servizi segreti egiziani.
“I ricordi tornano a galla, come quella volta in cui mia madre mi chiamò per dirmi: ‘hanno fatto molto male a Giulio’. Ho sentito parlare di tortura per la prima volta in tv. Giulio era un ragazzo come tanti, amava divertirsi e rappresentava per me un modello da seguire, un fratello sempre pronto a darmi consigli.” Così ha dichiarato in aula, visibilmente emotiva, Irene Regeni, sorella del ricercatore italiano assassinato in Egitto nel 2016, durante la sua testimonianza nel processo contro quattro agenti dei servizi segreti del Cairo.
“Le nostre opinioni differivano su molte questioni: lui era un umanista, io ero una scienziata. Tuttavia, eravamo sempre in contatto riguardo alle questioni che contavano di più: comunicavamo attraverso chat e email. Giulio ha sempre avuto una grande passione per la storia e studiava la lingua araba. Dopo aver completato il corso triennale, andò in Egitto per la prima volta. Era curioso di conoscere culture diverse, in particolare quella egiziana, e non vedeva l’ora di intraprendere la sua ricerca sul campo.”