Evviva i compromessi, quelli che sanno di tarallucci e vino, ma che almeno portano a casa un risultato. L’Europa, nella notte, si è finalmente messa d’accordo sulla nuova Commissione, mostrando quel minimo di unità che ci si aspetta da un continente che non può permettersi di presentarsi diviso di fronte a giganti come Putin o Trump. Perché diciamolo chiaramente: se ieri l’Europa avesse fallito, oggi saremmo qui a contarne i pezzi.
Cara Meloni, raccontala giusta
Giorgia Meloni si affretta a cantare vittoria, rivendicando il successo per l’Italia con la nomina di Raffaele Fitto. Ma, cara Presidente, non ci siamo. Questa non è una vittoria per l’Italia, è una vittoria per l’Europa. Anche lei, con il suo Fitto, ha dovuto giocare il gioco europeo, scegliendo un nome che di certo non rappresenta l’euroscetticismo duro e puro che tanto piace a una parte della sua base. Meloni racconta una storia di trionfo nazionale, ma nei fatti costruisce un’altra narrazione: quella di una premier che, per stare in partita, accetta le regole del club europeo. Una partita che, ironicamente, non è mai stata davvero “sovranista”.
Un’Europa che si accontenta (per ora)
Ecco il punto. Quella raggiunta è una vittoria di compromesso, un’Europa che si tiene insieme con lo scotch, ma che almeno riesce a farlo. Certo, ci piacerebbe un’Unione meno impantanata nel politichese, più forte, più diretta, magari con un potere elettivo vero. Ma oggi, più che sognare, bisogna tenere saldo quello che c’è. L’unità è fragile, ma è tutto quello che abbiamo. Se poi qualcuno ha ancora il coraggio di sognare gli Stati Uniti d’Europa, sappia che la battaglia è lunga e comincia qui: con una Commissione che non sarà perfetta, ma almeno esiste.
Alla fine, meglio così. Meglio qualche compromesso mal digerito che l’ennesima spaccatura. Perché l’Europa divisa fa felici solo gli altri. E questa volta, almeno questa, non glielo abbiamo concesso.