Emergono nuovi dettagli sul caso di Antonio Strangio, allevatore 42enne di San Luca (Reggio Calabria), scomparso da almeno 5 giorni. L’ipotesi iniziale secondo cui i resti rinvenuti nell’auto carbonizzata di sua proprietà fossero di natura animale sta lasciando spazio alla possibilità che si tratti invece di resti umani. A confermare o smentire questa ipotesi saranno le analisi del DNA, affidate al Ris di Messina e disposte dalla Procura di Locri, che ha proceduto al sequestro della vettura.
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L’auto, un fuoristrada, è stata ritrovata completamente distrutta da un incendio in una zona di campagna della Locride. I carabinieri della Compagnia di Bianco stanno conducendo le indagini e, al momento, non viene esclusa alcuna pista. La sparizione di Strangio e il ritrovamento del veicolo in queste condizioni alimentano dubbi e interrogativi, con il rischio di scenari inquietanti.
Antonio Strangio non è un nome qualunque: è il figlio di Giuseppe Strangio, noto boss della ‘ndrangheta, condannato nel 1974 a 14 anni di carcere per omicidio. Il padre fu coinvolto anche in un altro caso eclatante, quello del rapimento di Cesare Casella nel 1988, un sequestro durato oltre due anni e che suscitò grande clamore all’epoca.
Le indagini si concentrano su diversi fronti, in un contesto che rimane complesso e legato a una zona storicamente segnata dalla presenza di dinamiche criminali. L’analisi scientifica sui resti rinvenuti sarà cruciale per chiarire il destino di Antonio Strangio e comprendere meglio la natura di questo mistero.