Renato Vallanzasca, l’ex boss della banda della Comasina, è stato trasferito nei giorni scorsi presso l’Opera della Provvidenza Sant’Antonio, una Residenza Sanitaria Assistenziale (Rsa) in provincia di Padova. Il Tribunale di Sorveglianza di Milano aveva disposto, lo scorso 13 settembre, il differimento della pena in detenzione domiciliare per “incompatibilità col carcere” a causa delle sue precarie condizioni di salute.
Un passato da boss, un presente segnato dalla demenza
Vallanzasca, 74 anni, sta scontando quattro ergastoli e un totale di 295 anni di carcere per i crimini commessi durante la sua vita da criminale. Tuttavia, referti medici attestano che il suo stato di salute è ormai compromesso da una grave demenza, che lo rende inconsapevole del proprio passato violento e della pena che gli è stata inflitta.
La struttura che ora lo ospita è specializzata nella cura di malati di Alzheimer e altre forme di demenza. La scelta dell’istituto era stata proposta dai suoi legali, Corrado Limentani e Paolo Muzzi, e approvata dopo mesi di verifiche e formalità.
Dopo oltre 50 anni di carcere, un trasferimento complesso
Nonostante la decisione del Tribunale di Sorveglianza fosse stata emessa a settembre, Vallanzasca è rimasto detenuto nel carcere di Bollate per oltre due mesi. I suoi legali hanno dovuto affrontare una serie di procedure burocratiche e certificazioni per organizzare il trasferimento. Ora, presso la Rsa di Padova, Vallanzasca è seguito da un’equipe medica e partecipa a sessioni di fisioterapia, anche se le sue condizioni fisiche rimangono precarie: fatica a camminare ed è costantemente monitorato dai medici.
Un caso che divide l’opinione pubblica
La vicenda di Vallanzasca continua a suscitare opinioni contrastanti. Da una parte, c’è chi considera il differimento della pena un atto umanitario dovuto, viste le sue condizioni di salute; dall’altra, molti ritengono che i crimini efferati commessi dall’ex boss rendano difficile accettare una misura alternativa alla detenzione.
La fine di un’epoca criminale
Con oltre 50 anni trascorsi in carcere e una pena di fatto perpetua, Vallanzasca rappresenta uno dei simboli più noti della criminalità italiana degli anni ’70 e ’80. Il suo trasferimento in una Rsa segna non solo il declino fisico e mentale di una figura controversa, ma anche la conclusione di un capitolo che ha segnato profondamente la storia del crimine organizzato in Italia.
Rimane ora il dibattito su come bilanciare giustizia e umanità, in un caso che non smette di interrogare la coscienza collettiva.